banner
banner

SULMONA – Duecento detenuti del penitenziario di Sulmona (con pene da scontare tra 20-30 anni), alle prese con un percorso di recupero interiore, scandito da bibbia, buddismo e ricerca della felicita’, attraversato da un filo rosso che prende spunto dall’apartheid e dal genocidio del Ruanda dei primi anni 90. E’ un progetto mai intrapreso finora nei penitenziari d’Abruzzo quello attuato in 4 tappe alla casa circondariale di Sulmona, promosso dal centro di salute mentale della Asl, in collaborazione con la direzione del carcere peligno. Duecento reclusi (sui circa 500 complessivi), con trascorsi in organizzazioni criminali come mafia, n’drangheta e Sacra Corona, in 5 mesi, da ottobre a febbraio scorsi, hanno partecipato a un progetto affidato a psicoterapeuti, educatori ed esperti della materia. Il ciclo di riabilitazione si e’ articolato in confronti ‘front office’ (nel teatro del carcere), svoltisi tra grandi misure di sicurezza. Un’autentica ‘scossa emotiva’ per le persone ristrette nel penitenziario (con crimini gravi alle spalle, i cosiddetti reati di sangue) perche’ sono state condotte lungo un percorso molto difficile, finalizzato a favorire una revisione critica degli errori compiuti, la ricomposizione delle parti di se’ e la riconquista di relazioni costruttive. Un processo che ha aperto negli animi degli ospiti della casa circondariale squarci di pentimento, aneliti al perdono, momenti di forte coinvolgimento e, in alcuni casi, il desiderio di incontrare i familiari delle vittime. Promotore del progetto e’ stato il dr. Vittorio Sconci, direttore del dipartimento salute mentale della Asl Avezzano-Sulmona-L’Aquila mentre la coordinatrice e’ stata la psicoterapeuta dr.ssa Stefania Ricciardi. Alla luce del successo dell’esperienza di Sulmona- fa sapere la Asl – il progetto verra’ riproposto nel carcere di Avezzano, dove verra’ presentato nelle prossime settimane.

Andrea D’Aurelio

Lascia un commento