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SULMONA – Ha atteso invano per quindici lunghissimi anni la casa popolare che gli spettava per vedere finalmente riconosciuto un suo diritto attraverso la sentenza di secondo grado del Tribunale di Sulmona che è stata pronunciata a dicembre 2018. Ma da allora sono passati altri otto mesi e il risarcimento dovuto non viene ancora erogato dal Comune di Sulmona che rischia un altro pignoramento. La storia è quella del sulmonese Carlo Piccone che dal lontano 2004, ben tre lustri fa, sta portando avanti la sua battaglia contro il Comune per entrare in possesso di una casa che ottenne in “via emergenziale”. E alla faccia dell’emergenza verrebbe da dire. Dopo quindici anni ancora si riesce a scrivere la parola fine su una storia che ha davvero dell’incredibile. Ora Piccone ne fa una questione di principio e, in attesa dell’udienza per il pignoramento fissata per metà settembre, sta valutando di interessare la Corte dei Conti perché chi ha sbagliato paghi. Un assioma tutt’altro che scontato tanto in Italia quanto in città. Correva l’anno 2004 quando per esigenze economiche e soprattutto sanitarie legate alla condizione di disabilità della figlia, il sulmonese si trovò costretto a chiedere aiuto al comune dal quale ottenne una casa popolare. Viveva in una frazione e lavorava a Bussi in un’impresa di pulizie quindi con uno stipendio modesto. I continui spostamenti in auto per le terapie della figlia e per le attività di socializzazione e integrazione sociale gravavano troppo sulle economie di un operaio e sulla vita di tutta la famiglia. Ottenuta l’assegnazione della casa per 2 anni dalla presa di possesso, firmato in Comune il contratto, iniziò il conto alla rovescia per poter entrare a pieno titolo nell’alloggio, non prima della realizzazione di alcuni lavori di manutenzione. Passano mesi. “Torni fra 90 giorni”- dicevano. E poi altri novanta per arriva a 180 e in quei tempi il 18 non andava di moda. Scherzi a parte, si scoprì in seguito che la palazzina dove era collocata la casa popolare era stata realizzata da un ente militare soppresso, i cui archivi erano sparsi non si sa bene dove in Italia. In pratica gli era stato assegnato un appartamento dove qualcuno sapeva già che Piccone non sarebbe potuto entrare. Inizia la battaglia legale condotta dall’avvocato Andrea Lucci. Il sulmonese vince la causa ( primo grado) e ottiene il risarcimento delle spese legali e l’assegnazione. L’alloggio però non era disponibile. Si va in appello. Anche il comune impugnò la sentenza di primo grado ritenendo completamente sbagliata la determinazione del giudice. Da Palazzo San Francesco non danno seguito al risarcimento e dopo un precetto andato a vuoto, Piccone intentò una causa di pignoramento. Si arriva a dicembre 2018, mentre cambiano in continuazione gli amministratori, e il Tribunale di Sulmona rigetta il ricorso del Comune e lo condanna a un risarcimento di 25 mila euro più 5000 euro di spese. E nessuno paga. Neanche questa volta. Scatta quindi la seconda causa di pignoramento la cui udienza si svolgerà a metà settembre. Piccone è intenzionato ad andare avanti fino in fondo. “Ci era stata palesata la possibilità del riconoscimento del debito fuori bilancio entro la fine dello scorso mese e l’immediato pagamento del dovuto ma il pagamento ancora avviene”- tuona il sulmonese spiegando che “si avvicina ferragosto e soprattutto si avvicina la sentenza. Se si dovesse arrivare all’udienza per il pignoramento, non per ripicca ma per una questione di principio mi troverò costretto a inviare una relazione alla Corte dei conti perchè chi ha sbagliato paghi il dovuto, non si può giocare così con la vita delle persone e con i soldi dei cittadini”. Una storia, che solo a rileggerla tutta d’un fiato, fa venire i brividi e accapponare la pelle.

Andrea D’Aurelio

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