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SULMONA – Era finito sotto processo per oltraggio al pubblico ufficiale per il solo fatto di aver dato dell’incompetente all’agente di polizia penitenziaria in servizio al carcere peligno ma ieri, il giudice monocratico Marco Billi, ha pronunciato la sentenza di assoluzione perchè il fatto non sussiste. L’incredibile e curiosa vicenda vede protagonista Cosimo Lo Nigro, detenuto nel penitenziario peligno, che è stato processato per un epiteto che pronunciò due anni fa, il 15 febbraio 2017, nei confronti del poliziotto penitenziario, addetto alla lavanderia del carcere. “Sei un incompetente. Il tuo collega lavorava meglio” aveva detto Lo Nigro all’agente di Polizia Penitenziaria che ieri si è presentato in Tribunale per la testimonianza.  Come da protocollo il detenuto aveva richiesto il materiale per le pulizie che secondo la sua versione- non gli sarebbe stato consegnato in tempo utile. Da lì è iniziato il diverbio con l’agente che si è preso le “belle” parole del carcerato. Il tutto davanti a un collega di servizio.  Nel corso del processo, rispondendo alle domande del Pm, lo stesso agente ha ammesso che l’imputato non lo aveva ingiuriato con il suo linguaggio nè, tantomeno, ha alzato le mani. Il fuori programma, che non è passato inosservato, si è verificato quando il detenuto ha preso la parola per la dichiarazione spontanea. “La fornitura tempestiva del bastone e del secchio d’acqua sono cose fondamentali ma chi non conosce il mondo del carcere non può capire”- ha detto Lo Nigro per raccontare in pochissimi minuti i suoi 24 anni di prigionia, l’imbarazzo di essere controllato in continuazione e la “massima educazione” con la quale ha sempre trattato le persone. “Io non ho offeso nessuno”- ha concluso prima della lettura della sentenza del giudice e di farsi applicare le manette ai polsi per tornare in quella che è diventata la sua “casa”.. di reclusione.  Il giudice lo ha quindi assolto perchè il fatto non sussiste. Un’assoluzione che non lo rimette in libertà perchè dovrà continuare ad espiare la sua pena ma, probabilmente, lo farà stare più tranquillo sul fatto che quelle parole, per la giustizia, non configurano un’offesa.

Andrea D’Aurelio

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