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SULMONA – La Corte d’Assise d’Appello di Genova ha condannato a diciotto anni F.D.M., 24enne originario di Sulmona unico imputato per l’omicidio di Giuseppe Colabrese, suo compaesano di 27 anni, il cui cadavere, in avanzato stato di decomposizione, venne trovato il 9 ottobre 2015 in un bosco di Cerri, nello spezzino. La sentenza di secondo grado è sovrapponibile alla prima condanna che arrivò lo scorso anno dopo il rito abbreviato. La procura sin dall’inizio ha ipotizzato che il delitto fosse stato commesso per non pagare un debito di droga. L’unico imputato dell’inchiesta aveva scelto il rito abbreviato e fino alla fine si è proclamato innocente, cercando di convincere i magistrati che lui con quel delitto non c’entrava nulla. Secondo la ricostruzione della Procura accade tutto il primo agosto 2015. Quel pomeriggio Colabrese arriva con un treno alla Spezia, dopodiché sale su un autobus diretto ad Arcola. Lì ad attenderlo c’è proprio l’amico che conosce bene la zona perché i genitori sono proprietari di una casa a Romito Magra. I carabinieri del nucleo investigativo, agli ordini del maggiore Armando Ago, sono venuti a conoscenza dell’appuntamento analizzando il traffico telefonico dei cellulari utilizzati dai due ragazzi per portare avanti una presunta attività di spaccio di hashish. La drammatica vicenda di Colabrese era iniziata il primo agosto del 2015 con il suo arrivo in Liguria, per una vacanza di 15 giorni da trascorrere con il suo amico. Colabrese aveva portato con sé 3mila euro, uno zaino nero e un cellulare vecchio modello. Il 15 agosto i genitori di Giuseppe, preoccupati per il protrarsi del silenzio, lo avevano chiamato ripetutamente, ma il telefono squillava a vuoto. Il 31 agosto i genitori di Giuseppe avevano denunciato la misteriosa scomparsa del figlio. Il 30 settembre il padre e la madre di Giuseppe erano stati ospiti della trasmissione “Chi l’ha visto?”. Il 9 ottobre un cacciatore aveva trovato un corpo nel bosco di Canarpino. Il 13 ottobre i genitori avevano raggiunto La Spezia per sottoporsi all’esame del Dna. Il 21 ottobre la conferma: quel corpo apparteneva proprio a Colabrese. Il 29 ottobre i periti avevano confermato la presenza di una ferita sulla testa del giovane, un colpo che gli avrebbe fracassato il cranio. La Procura aveva aperto un fascicolo contro ignoti per omicidio volontario e dopo qualche tempo l’amico era finito sotto inchiesta. Ad agosto 2018 arriva la condanna diciotto anni di reclusione all’amico di Colabrese, confermata ieri dalla Corte D’Appello. Ora i legali dell’indagato stanno valutando il ricorso in Cassazione come ha fatto sapere a Onda Tg l’avvocato del foro di Sulmona Lando Sciuba. “Aspetteremo le motivazioni della sentenza”- ha detto l’avvocato- “e decideremo in tal senso”.

Andrea D’Aurelio

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