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SULMONA – Due anni di reclusione per il reato di evasione. Questa mattina è arrivata la condanna per un 19 enne di Sulmona, A.G., che lo scorso 3 agosto aveva rotto il braccialetto elettronico, tagliando il dispositivo, e si era allontanato dalla propria abitazione in bicicletta, nonostante la misura cautelare degli arresti domiciliari, fino a raggiungere la stazione ferroviaria. Lì fu arrestato dalla Polizia per il reato di evasione e il Tribunale dispose la custodia cautelare in carcere. Il giovane, detenuto nel penitenziario di Rieti, è stato accompagnato questa mattina al Palazzo di Giustizia dove è stata discussa l’udienza con rito abbreviato, formula alternativa a quello ordinario. Il Pm ha chiesto tre anni di reclusione, tenendo conto delle attenuanti tecniche che fanno capo al rito ordinario, caldeggiando però l’aggravante del capo d’imputazione, cioè l’evasione avvenuta con effrazione. Il legale del giovane, Anna Sara Di Pietro ( in sostituzione dell’avvocato di fiducia), ha depositato la documentazione medica del Dipartimento di Salute Mentale che certifica il cambio di cura, vale a dire la somministrazione di un nuovo farmaco i cui effetti si percepiscono dopo qualche tempo. Per questo la difesa ha chiesto la sentenza di assoluzione per mancanza di dolo nell’evasione (in forza della patologia di cui il giovane è affetto) ritenendo che lo stesso “non è evaso per sottrarsi alla giustizia ma per incontrare la fidanzata nei pressi della stazione ferroviaria”. In subordine, in caso di condanna come poi è avvenuto, la difesa aveva chiesto al giudice di tener conto solo del primo comma dell’articolo 385 del codice penale, senza l’aggravante dell’effrazione. Il giudice monocratico del Tribunale di Sulmona, Francesca Pinacchio, ha pronunciato la sentenza di condanna a due anni di reclusione a carico di A.G, non riconoscendo l’aggravante  ma, probabilmente, nemmeno la mancanza di dolo. Si dovranno attendere le motivazioni della sentenza mentre il legale ha annunciato che richiederà la misura cautelare degli arresti domiciliari, sicuramente meno afflittiva, per permettere al giovane di proseguire con le cure.

Andrea D’Aurelio

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