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SULMONA – Ha minacciato il commerciante-dentista attraverso due telefonate e oggi, per M.M. residente a Sulmona, è arrivata la condanna del Tribunale di Sulmona a un mese di reclusione oltre al risarcimento della persona offesa, che il giudice monocratico Concetta Buccini ha liquidato in tremila euro oltre al pagamento delle spese processuali per un importo totale di circa 5 mila euro. Il giudice ha rimandato gli atti alla Procura, chiedendo di valutare l’attendibilità della testimonianza della moglie dell’imputato, sentita nel corso del dibattimento assieme al maresciallo dei Carabinieri di Introdacqua e alcuni dipendenti del bar di proprietà del professionista che ricade in un paese della Valle del Sagittario. I fatti risalgono al 27 luglio del 2015. M.M. telefona all’utenza fissa del pub, alterando al voce, al punto da non farsi riconoscere al commerciante che, nel frattempo, si annota il numero. Fra i due c’è un rapporto di parentela. Arriva poi una seconda telefonata con il sulmonese che incrementa il tasso della minaccia anche verso i figli. La vittima, riaggancia la cornetta, esce dal bar visibilmente preoccupato e si reca nella caserma dei Carabinieri per presentare una denuncia contro ignoti. Solo in un secondo momento effettua un controllo e ricava il numero dell’ultima chiamata ricevuta. Torna dai Carabinieri e li informa che si tratta del parente acquisito. I dipendenti del pub hanno confermato, durante il processo, di aver visto uscire il proprio datore di lavoro con il volto impallidito. Aveva paura ed era spaventato. M.M. viene chiamato in caserma e tramite i legali si cerca di trovare un accordo tra le parti che non è mai arrivato. Il sulmonese aveva effettuato delle telefonate perché era convinto che il parente odontoiatra gli dovesse risarcire il danno fisico dovuto a una prestazione antecedente al 2011. Ma su quest’episodio esiste già una sentenza del Tribunale di Sulmona, appellata, che non ha riconosciuto il risarcimento così come chiesto dall’attore del processo civile. Il legale di M.M, in sede di discussione, aveva chiesto l’assoluzione per mancanza di prove della minaccia dal momento che i test della parte civile non hanno ascoltato la telefonata. Per la difesa quel “sei morto” era inteso in senso figurato e se davvero la vittima era terrorizzata poteva chiedere ai Carabinieri una misura cautelare. Una sorta di avvertimento per il risarcimento che aveva chiesto. La moglie dell’imputato ha confermato con la sua testimonianza che il tono della telefonata era lecito e innocuo. “Il rapporto conflittuale tra i due andava avanti da tempo”- è intervenuto il legale della difesa in sede di discussione- “due perizie affermano che l’imputato è abusivo e ha messo le mani in bocca al mio assistito”. Ma il legale della persona offesa, Luca Tirabassi, ricorda che quell’inchiesta sul presunto esercizio abusivo della professione si è chiusa con una sentenza di assoluzione e che il suo cliente, se davvero non fosse rimasto preoccupato dalle minacce, avrebbe potuto denunciare il parente per estorsione. Il processo di primo grado si chiude con la sentenza del giudice Buccini che condanna M.M. per il reato di minaccia aggravata senza la recidività, che risulta nel casellario giudiziale, ma non nel decreto di citazione a giudizio probabilmente per un errore materiale.

Andrea D’Aurelio

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