
È polemica sull’autorizzazione da parte della Giunta regionale dell’Abruzzo, con il via libera ottenuto in Conferenza Stato-Regioni, all’abbattimento in deroga di 8.221 storni e 19.317 fringuelli, due specie considerate protette dalla normativa nazionale e comunitaria (legge 157/1992 e Direttiva Uccelli 2009/147/CE). Complessivamente, si parla di oltre 27.000 uccelli selvatici da abbattere. Una decisione che ha immediatamente suscitato la reazione delle associazioni ambientaliste e dei rappresentanti politici dell’Alleanza Verdi-Sinistra, che parlano di “scelta grave e inaccettabile, priva di qualunque fondamento scientifico”. “Parliamo di specie che pesano pochi grammi, innocue, e che non arrecano danni significativi alle colture o agli ecosistemi. Anzi, ne fanno parte integrante” – dichiarano Fabrizio Giustizieri (Segretario provinciale SI – AVS L’Aquila) e Francesco Cerasoli (Direttivo provinciale SI – AVS L’Aquila). Secondo gli esponenti della sinistra ecologista, la decisione appare influenzata da criteri politici e non scientifici, come il numero di cacciatori attivi sul territorio. Una logica, accusano, che “mette al centro chi spara, non chi tutela”, contraddicendo la storica vocazione dell’Abruzzo come regione verde d’Europa. L’Italia, ricordano, è già stata condannata in passato dalla Corte di giustizia europea per autorizzazioni simili, rilasciate senza che ricorressero le condizioni previste dalla normativa comunitaria. Le deroghe alla protezione delle specie sono ammesse solo in circostanze eccezionali, accompagnate da documentazione rigorosa, cosa che – secondo gli ambientalisti – non sarebbe avvenuta. Il comunicato di Sinistra Italiana si chiude con un affondo politico: “Se fossimo cattivi – scrivono Giustizieri e Cerasoli – potremmo pensare che queste scelte si spiegano solo con una logica elettoralistica: i cacciatori votano, gli uccelli no”. Una provocazione che riapre il dibattito sul rapporto tra ambiente, istituzioni e lobby venatorie, in un territorio – l’Abruzzo – che vanta una delle più alte concentrazioni di parchi naturali in Italia, ma che secondo i firmatari dell’appello rischia di veder svanire questa vocazione a causa di “una miopia politica preoccupante”.