
In provincia dell’Aquila la sanità è in affanno. E non si tratta solo di qualche disagio momentaneo, ma di un vero e proprio grido d’allarme che arriva da chi ogni giorno vive e lavora nei servizi pubblici. I problemi non sono nuovi, ma ora stanno esplodendo. A farne le spese sono le persone comuni, le famiglie, le fasce più fragili della popolazione. Quelle che più di tutte avrebbero bisogno di una rete sanitaria solida, presente, giusta. C’è qualcosa che non torna: la ASL 1 – che copre un territorio vastissimo, metà Abruzzo, con ospedali, presidi, punti di primo intervento e ora anche Case della Comunità in fase di attivazione – riceve meno risorse delle altre ASL della regione. Parliamo di milioni di euro in meno ogni anno, che si traducono in servizi tagliati, cure rimandate, carenze di personale, lunghe attese. In cinque anni il divario rispetto alla ASL di Chieti ha toccato quota un miliardo. Eppure, il bisogno di salute delle persone non si calcola con un foglio Excel. Chi lavora nella sanità lo dice chiaramente: servono più fondi, servono scelte coraggiose e serve una visione diversa. Perché ridurre i costi tagliando sul personale – come prevede la recente Legge Regionale 9 del 2025 – non è una soluzione, ma un problema ancora più grande. Con 5 milioni di euro in meno solo per il personale, la ASL dell’Aquila rischia il collasso dei servizi essenziali. E a pagarne il prezzo non saranno solo medici, infermieri e operatori, ma tutti noi, cittadini e cittadine. C’è poi un’altra questione, troppo spesso ignorata: quella delle centinaia di lavoratori impiegati nei servizi esternalizzati – guardiania, pulizie, mensa, manutenzione, CUP, supporto amministrativo – che da anni garantiscono con dedizione il funzionamento quotidiano delle strutture sanitarie. Persone che oggi si ritrovano senza certezze, con contratti precari e nessuna prospettiva. La richiesta è chiara: internalizzare queste attività o, in alternativa, affidarle a una società partecipata pubblica che garantisca dignità lavorativa e qualità dei servizi. Non si può parlare di buona sanità senza parlare anche di buon lavoro. La salute dei cittadini passa attraverso il lavoro sicuro e stabile di chi nei servizi pubblici ci mette testa, mani e cuore. Ecco perché la CGIL chiede l’apertura urgente di un tavolo di confronto tra Regione, ASL, sindacati e politica. Per rimettere al centro le persone, la salute, il lavoro. Per immaginare un sistema sanitario che sia davvero equo, universale, accessibile. Non basta parlare di tagli: bisogna scegliere dove tagliare e dove investire. E la salute delle persone, oggi più che mai, merita investimenti, idee, coraggio.









