SULMONA – Ha dovuto attendere quasi una settimana per lo svolgimento del tampone al suo bambino che frequenta una scuola dell’infanzia in città . Lo sfogo dei “prigionieri del Covid†arriva da una donna residente a Sulmona, mamma come tante, che racconta le peripezie che ha dovuto affrontare il piccolo per la diagnosi da Covid-19 dopo la comparsa dei sintomi, ovvero della febbre. Una denuncia a 360 gradi che punta il dito contro il sistema oberato di lavoro ma non contro gli operatori che continuano a fare i salti mortali con il loro silenzioso e continuo impegno. “Venerdì pomeriggio, dopo il secondo giorno di scuola, il bambino ha iniziato ad avere febbre alta accompagnata da mal di testa e mal di gola. Consulto immediatamente l’opuscolo informativo che mi è stato dato a scuola e seguo la procedura indicata, quindi chiamo il medico che mi invita ad aspettare qualche ora per valutare l’evolvere della sintomatologia. Il giorno successivo, il sabato quindi, il bambino ha febbre ancora più alta quindi ricontatto il medico che prescrive prontamente il tampone covid invitandomi ad attendere una chiamata nelle prossime ore. Mi consiglia inoltre di rimanere a casa evitando contatti con altre persone.  Trascorre la giornata di sabato ma anche tutta la domenica, con il bambino con febbre alta persistente e nessuna chiamata da parte del dipartimento. Lunedì mattina, dopo la terza notte di febbre alta e non avendo ricevuto chiamata alcuna, vado di persona agli uffici della asl e finalmente riesco a prendere appuntamento per il tampone per ieri sera (siamo a mercoledì). Per il risultato bisognerà attendere almeno 48h mi hanno detto e quindi arriviamo a sabato, se non lunedì. Dunque almeno 7 giorni dalla data di segnalazione da parte del medico per conoscere l’esito di un tamponeâ€- sbotta la donna. Il bambino è stato inserito nella rete della sorveglianza lunedì scorso e sottoposto al tampone dopo due giorni, il tempo di creare i codici e programmarlo. La carenza di organico che resta grave nonostante i rinforzi ha fatto scattare lo sfogo-denuncia della mamma che, sperando vada tutto per il verso giusto, conclude: “per il bene della comunità abbiamo deciso di rimanere a casa, ma voglio far presente a tutte le istituzioni che è impensabile che ad ogni malattia di un bambino (che mediamente avendo due figli si presenta tutti i mesi)  una famiglia possa essere rinchiusa in casa per più di una settimana. Causa precedente lockdown le ferie sono finite, mio marito è libero professionista e noi ci troviamo a restare in casa senza nessuna forma di sostentamento. Fortunatamente lavoriamo e vista l’emergenza di quest’anno le ferie sono già finite. Il ministero della Salute non aveva detto che  la priorità sarebbe stata data ai bambini e scuole? Tutti i medici con cui ho avuto contatto in questa settimana sono stati professionali e disponibili ma evidentemente si trovano a gestire un carico di lavoro più grande  e siamo solo a settembreâ€. E’ la solita storia. Se la pandemia è come una guerra bisogna essere armati. E in questo caso la carenza di risorse umane non aiuta il sistema a vincere la “guerraâ€.
Andrea D’Aurelio