
Il processo non ha “consentito di accertare, al di là di ogni ragionevole dubbio, le ipotizzate carenze nel sistema di gestione della sicurezza ferroviaria imputate” all’amministratore delegato, “alla luce del suo ruolo e delle sue prerogative all’interno di RFI”.
Lo scrive il Tribunale di Milano nelle motivazioni della sentenza del 25 febbraio sul disastro ferroviario di Pioltello del 2018, che causò tre morti e oltre cento feriti. Con tale verdetto sono stati assolti otto imputati, tra vertici e dirigenti di Rete Ferroviaria Italiana, tra cui l’ex AD Maurizio Gentile e la stessa società. L’unico condannato è stato l’ex responsabile dell’Unità manutentiva.

Nelle quasi 340 pagine di motivazioni, i giudici della quinta sezione penale (Canevini-Messina-Papagno), riconoscendo la “incontestata ricostruzione della dinamica” dell’incidente, attribuibile “esclusivamente alla rottura” del giunto “ammalorato” nel cosiddetto “punto zero”, spiegano che la “difettosità” di quel giunto “era stata tempestivamente rilevata dagli operatori della manutenzione”.
Questo elemento, sottolineano i giudici, “comporta già l’irrilevanza di tutte le contestazioni addebitate a Gentile” in relazione alla “politica di gestione della sicurezza in RFI condotta nella qualità di amministratore delegato”. I vertici e i dirigenti di RFI sono stati tutti assolti con la formula “per non aver commesso il fatto” dalle accuse di disastro ferroviario colposo, omicidio colposo e lesioni colpose per l’incidente che provocò tre vittime e circa 200 persone ferite o con traumi psicologici.
Secondo il Tribunale – come già anticipato in un comunicato della presidenza del 25 febbraio – l’ex AD e gli altri manager non erano a conoscenza delle condizioni critiche del giunto. Non emergono prove di “condotte commissive o omissive” da parte loro, né in relazione agli “effettivi flussi informativi” disponibili, né rispetto alla “inadeguatezza della manutenzione”.
La “colposa sottovalutazione del rischio, a lui noto, di rottura del giunto” è stata attribuita dai giudici unicamente a Marco Albanesi, ex capo dell’Unità manutentiva, condannato a 5 anni e 3 mesi. I PM Leonardo Lesti e Maura Ripamonti, con l’aggiunta Tiziana Siciliano, avevano richiesto altre cinque condanne, tra cui quella di Gentile e della stessa RFI, con pene fino a 8 anni e 4 mesi. La Procura potrà ora ricorrere in appello.
Le politiche di “manutenzione”, che avrebbero dovuto riguardare anche il giunto da cui si è staccato un pezzo di rotaia causando il deragliamento del treno, “sono scelte riconducibili”, come scritto dai PM in una memoria, “alla cosiddetta Alta Direzione della società, attribuibili direttamente ai suoi vertici”. I giudici, nelle motivazioni, analizzano le singole posizioni degli imputati e valutano complessivamente “l’adeguatezza, in concreto, del modello di gestione attuato da RFI all’epoca dei fatti”.









