SULMONA – Sgomento, incredulità ma anche troppi giudizi affrettati sul grave episodio che si è verificato ieri nella scuola media Capograssi di Sulmona dove un ragazzino di 11 anni ha colpito con un coltello il collaboratore scolastico, Savino Monterisi, ferendolo lievemente alla schiena e procurandogli lesioni giudicate guaribili in sette giorni. Un gesto che sta interrogando un po’ tutti, addetti ai lavori in primis, soprattutto in relazione alle cause scatenanti di tale azione. Potrebbe essere stata una goliardata indotta da videogiochi o scommesse tra amici? Non è da escludere visto che i minori non hanno nè strumenti nè competenze per valutare le gravi conseguenze di un simile gesto. Ma potrebbe esserci anche dell’altro, da approfondire nelle dovute sedi. Per questo il Tribunale dei minorenni ha aperto un fascicolo sul caso. Fatto sta che l’episodio, come ha commentato lo stesso Monterisi, è una sconfitta per tutti. Per questo abbiamo deciso di pubblicare il pensiero di una madre. “Quanto accaduto dovrebbe farci fermare tutti. E riflettere”- si legge nella lettera – “Un bambino che deve ancora aprire gli occhi alla vita decide di punto in bianco di andare a scuola con un coltello da cucina e di colpire un adulto che non poteva reagire perché evidentemente gli stava dando le spalle. Dopo la bomba mediatica esplosa nella rapidità che solo i social possono permettere, mi domando: chi si è fermato a chiedersi perché?. Ho letto e sentito tanto e ad un certo punto mi sono posta un fermo ed ho parlato a me stessa. È colpa della famiglia? È colpa della scuola? È colpa della società? È colpa dei social o delle famigerate challenge? La solitudine è una spirale. Quando ci si cade si fa fatica a distinguere la realtà. Non dobbiamo dare una colpa, ma cercare di capire. Perché se da una parte il danno è stato lieve e, a detta di alcuni, la notizia non doveva neanche uscire dal cancello di quella scuola, dall’altra in quel gesto c’è un urlo disperato, un tentativo di essere non dico ascoltati, ma almeno visti. Possibile che nessuno si sia accorto? Possibile che in classe non si sia notato nulla? Possibile che la famiglia non abbia capito il disagio del figlio? Possibile. Perché siamo tutti stanchi e dovremmo davvero trovare il tempo per fermarci ed ascoltare ciò che ci circonda e chi amiamo. Il carnefice è vittima allo stesso tempo e va protetto. Nel suo disagio ha trovato il modo sbagliato per chiedere aiuto, ma lo ha fatto. Siamo noi il tempo e se esso è buio domandiamoci cosa abbiamo fatto per renderlo luminoso. Sono davvero offuscata da quanto accaduto. Sto rimettendo in discussione tutto, in primis me stessa”. Indagini e riflessioni devono quindi andare oltre. Oltre quella coltellata che pure è stata sferrata. (a.d’.a.)