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L’AQUILA – Torna alla mente quel silenzio assordante di dieci anni fa. Quando il mostro del terremoto irrompe sulla quotidianità e cambia stili di vita e abitudini. Niente è come prima. Con le immagini ripescate dall’archivio di Onda Tg torniamo al clima straziante di quei momenti. Era qualche giorno dopo quel 6 aprile 2009 quando il capoluogo di regione cercava di riprendersi dalla grande scossa. Ad accogliere volontari e istituzioni c’era solo un grande silenzio, le case sventrare dal sisma, quel senso di vuoto che fa accapponare la pelle. L’accesso al centro storico era vietato a chiunque se non accompagnati dai Vigili del Fuoco. C’era la cosiddetta zona rossa. Nelle tendopoli si cercava di andare avanti perché la gente era già consapevole che da quelle macerie si stava costruendo il futuro. E nelle interviste realizzate all’epoca dalla giornalista Giuliana Susi venne fuori un chiaro spaccato della quotidianità. Il titolare di un salone da parrucchiere ricorda le 3.32 ma poi invita i concittadini a rialzarsi. “Oggi ho riaperto la mia attività. So che c’è qualcuno che ha perso la casa ma dobbiamo metterci in testa che l’Aquila deve andare avanti”- dichiarò ai nostri microfoni. Come pure incrociammo un giovane aquilano che viveva a Teramo ma trascorreva quei giorni nel capoluogo. “Anche da noi ci sono danni ma non potevamo rimanere lì”- disse. E poi intervennero i volontari e gli addetti ai lavori. L’Aquila non voleva e non vuole essere una città cimitero. Perché se c’è una cosa che il sisma non può distruggere è il coraggio di continuare a vivere. Di rimettere insieme i cocci di una storia andata in frantumi. L’Aquila e gli aquilani lo hanno avuto. Dopo dieci anni, come allora, si cammina a testa alta.

Andrea D’Aurelio

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