
Presidio davanti al Palazzo di Giustizia. I sindacati: senza un piano concreto, metà del personale rischia di restare a casa.
Stabilizzazione dei contratti, contratto integrativo, nuovo ordinamento professionale: sono le parole d’ordine del presidio che questa mattina ha riunito decine di lavoratori e lavoratrici davanti al Palazzo di Giustizia dell’Aquila, insieme a un’assemblea sindacale regionale del personale di tutti gli uffici giudiziari dell’Abruzzo. La mobilitazione, inserita nella giornata di protesta nazionale promossa da FP-CGIL, UIL-PA e USB-PI, punta i riflettori su una situazione definita “insostenibile” dai sindacati: 6.000 precari della giustizia, assunti grazie ai fondi del PNRR, rischiano di restare senza lavoro entro la fine dell’anno. Ad oggi, solo metà dei contratti in scadenza potrebbe essere salvata: l’ultima legge di bilancio ha stanziato risorse per la stabilizzazione di 3.000 unità, con la promessa di trovare altri fondi nella prossima manovra. Ma senza un piano certo, circa 3.000 lavoratori rischiano di andare a casa, proprio mentre il sistema giudiziario italiano soffre già di una carenza cronica di personale stimata tra il 30% e il 35%. Un paradosso che – avvertono i sindacati – rischia di tradursi in tempi di giustizia ancora più lunghi, sanzionati da anni anche dall’Unione Europea. Nel solo Abruzzo, la questione riguarda circa 300 lavoratori, tra funzionari dell’Ufficio per il Processo, operatori data entry, tecnici amministrativi, contabili ed edili. Assunti nel febbraio 2022 grazie ai fondi europei per velocizzare l’arretrato e sostenere la digitalizzazione dei procedimenti, questi lavoratori hanno contribuito in modo significativo a far funzionare Tribunali e Procure. “Non possiamo permettere che questo patrimonio di competenze venga disperso”, ribadiscono i sindacati, annunciando che la mobilitazione proseguirà nei prossimi mesi, con presidi e iniziative in tutta Italia. Il messaggio che arriva da L’Aquila è chiaro: stabilizzare i precari non è solo una questione occupazionale, ma una garanzia per la qualità e la velocità della giustizia. “Negli ultimi anni la macchina giudiziaria ha fatto passi avanti grazie anche a questi lavoratori. Farli tornare a casa significherebbe fare un salto indietro, allungare i tempi dei processi e tradire gli impegni presi con l’Europa”, avvertono i promotori del presidio. Un segnale destinato a diventare sempre più forte, se non arriveranno risposte concrete dal governo.

