
Cinque mesi dopo la morte dei due cuccioli di orso marsicano, annegati nell’invaso di Scanno-Colle Rotondo, il silenzio delle istituzioni pesa come una pietra. Nonostante gli appelli, le denunce pubbliche e una relazione tecnica dettagliata, gli invasi montani dell’Abruzzo restano ancora privi delle necessarie infrastrutture di sicurezza. E così, il rischio di nuovi incidenti mortali continua a incombere sulla fauna selvatica, sugli animali domestici e persino sugli esseri umani. È un grido d’allarme che arriva dall’associazione Salviamo l’Orso, insieme a Rewilding Apennines, impegnate da anni in un lavoro paziente di monitoraggio e denuncia. Subito dopo la tragedia di maggio, le due associazioni hanno effettuato sopralluoghi su decine di bacini e invasi in quota, redigendo un documento tecnico con indicazioni chiare: recinzioni adatte, resistenti, alte e sicure, progettate sulla base di studi scientifici e modelli sperimentati con successo in altri paesi. Quel dossier è stato inviato ai Carabinieri Forestali, alla Regione Abruzzo, ai Comuni interessati, ai Consorzi gestori degli impianti sciistici. Ma da allora, nessuna risposta concreta. Solo rinvii, promesse e lavori mal fatti. Emblematico il caso del bacino di Pizzalto, a Roccaraso, nel cuore del comprensorio sciistico dell’Alto Sangro. Nonostante i solleciti del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise (PNALM) e la promessa del gestore di intervenire, i tecnici di Salviamo l’Orso hanno trovato una recinzione rabberciata, piena di buchi, con materiali inadeguati e altezze insufficienti. Una barriera che non fermerebbe né un orso, né altri animali. E che, anzi, rischia di diventare un pericolo essa stessa. Una beffa, se si pensa che proprio in quell’area si muove una femmina di orso con due cuccioli piccoli, e che il comprensorio sciistico — spesso beneficiario di fondi pubblici — si presenta come un modello di turismo green e sostenibile.





Ma la realtà racconta altro: milioni di euro di fatturato, tanta immagine, e poca responsabilità concreta verso la fauna che rende unico questo territorio. “È inaccettabile — scrive Salviamo l’Orso — che dopo sette orsi annegati in dodici anni, su una popolazione di appena sessanta individui, si continui a ignorare il problema. Non ci sono più scuse.” Eppure, nonostante i precedenti tragici — dal 2010 a Villavallelonga fino al disastro di Scanno — il copione si ripete: disinteresse, immobilismo, impotenza. Anche la Comunità Montana Alto Sangro, che sembra essere formalmente titolare del bacino di Pizzalto, ammette di non poter intervenire. Il commissario straordinario ha riconosciuto la gravità della situazione, ma anche la mancanza di strumenti e fondi per risolverla. Le associazioni, nel frattempo, non si sono arrese: in tre anni hanno messo in sicurezza oltre venti pozzi e vasche, spesso a proprie spese. Ma ora servono decisioni politiche e risorse istituzionali.Non bastano più la buona volontà e i comunicati: serve un piano operativo, immediato e vincolante.Perché ogni giorno che passa, un nuovo incidente può accadere.E perché, come chiedono i volontari con amarezza, “quanto vale la vita di un orso? Meno del costo di una recinzione?” L’Abruzzo ama definirsi “Terra degli orsi”. Ma per meritare davvero questo nome, deve dimostrarlo con i fatti. E mettere fine a una lunga stagione di promesse e dimenticanze.









