
SULMONA- Venticinque anni con un contratto a tempo indeterminato, ma soltanto otto ore settimanali di lavoro. È la storia di una psicologa-psicoterapeuta in servizio al consultorio familiare di Sulmona che, nonostante un contratto a tempo indeterminato quale professionista ambulatoriale cosiddetto Sumaista, attende ancora oggi il completamento delle 38 ore previste dal profilo professionale. Una vicenda che non riguarda soltanto una singola lavoratrice, ma che evidenzia alcuni limiti della sanità territoriale. La professionista, sulmonese, garantisce da decenni attività fondamentali quali colloqui clinici, sedute di psicoterapia breve, interventi di educazione socio-affettiva nelle scuole, corsi di accompagnamento alla nascita, valutazioni delle competenze genitoriali, supporto psicologico ai ragazzi. Tutto questo con un tempo ridotto che, di fatto, non consente di rispondere alla crescente domanda della popolazione. Le famiglie chiedono ascolto, i giovani supporto, i genitori orientamento, ma con otto ore settimanali il consultorio non riesce a essere il punto di riferimento che dovrebbe. Si chiede perchè la Asl, pur avendo una risorsa interna già disponibile e stabile, non ha mai completato le ore di servizio, soprattutto in un territorio in cui la carenza di personale sanitario è cronica e i consultori rappresentano spesso l’unico presidio di prossimità. Se da un lato si spreca un capitale umano e professionale, dall’altro si priva la cittadinanza di un servizio che potrebbe prevenire disagi e intercettare situazioni di fragilità prima che diventino emergenze. Da tempo le organizzazioni sindacali denunciano il sotto-utilizzo dei professionisti sanitari nel sistema consultoriale abruzzese. Mentre le statistiche confermano un aumento della domanda di supporto psicologico, soprattutto tra adolescenti e giovani adulti, i servizi pubblici faticano a dare risposte. Il risultato è che sempre più famiglie devono rivolgersi al privato, con costi che non tutti possono sostenere. Il caso della psicologa di Sulmona diventa così emblematico. Da un lato la dedizione personale di chi, pur con poche ore, continua a garantire la continuità del servizio per senso di responsabilità verso la comunità, dall’altro l’inerzia di un sistema che, per carenze organizzative o scelte politiche, non riesce a trasformare le risorse disponibili in servizi concreti per i cittadini. La palla ora passa alla Asl e alle istituzioni, affinchè non ignorino questa situazione, ma la affrontino per garantire che la salute psicologica non resti ai margini. E con esse, le esigenze reali di un territorio già fragile. La psicologa resta al suo posto, ma con l’amarezza di chi, dopo 25 anni di lavoro, si sente ancora considerata “a mezzo servizio”.









