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SULMONA – La bassa carica virale del virus è l’unico dato rassicurante in questa terribile fase dell’emergenza pandemica che sta travolgendo la Valle Peligna. Oltre i numeri e i casi che devono essere aggiornati in continuazione, c’è un’altra mappa che salta all’occhio, quella della diffusione del contagio nella quotidianità, nei luoghi sensibili e non solo. A quasi un mese esatto dal primo contagio accertato in Valle Peligna, il Covid-19 ha fatto breccia in uffici, attività e aziende, dopo gli oltre 150 casi accertati, fortunatamente senza lasciare gravi conseguenze in termini di salute per i contagiati. Ad oggi si contano almeno una decina di focolai attivi sul territorio, fermo restando alcune situazioni ancora da chiarire e capire, ovvero se si tratta di casi isolati e sporadici o di nuovi fronti da tenere sotto controllo. Dal primo focolaio della festa di compleanno si è passati al ferragosto di Introdacqua e Pettorano, alla parrucchiera, azienda agroalimentare, distretto sanitario, casa di riposo, festa del patrono a Torre dè Nolfi e al cosiddetto contagio da ritorno. Poi ci sono quei filoni legati ai focolai tracciati che coinvolgono inevitabilmente altri luoghi a stretto contatto con l’utenza come la caserma dei Carabinieri, il pronto soccorso e il 118, un ufficio postale, un ristorante, un centro estetico, un’altra azienda di produzione e un’attività per la quale sono in corso le verifiche. Una mappa che non deve spaventare e allarmare ma far riflettere. Perché c’è sempre il rovescio della medaglia. Nel distretto sanitario in trenta sono risultati negativi così come nella radiologia dell’ospedale. Alla casa di riposo gli anziani non si sono contagiati come pure in uno stabilimento produttivo il virus non ha trovato alcuna corsia preferenziale. E pensiamo ai bar, ristoranti, farmacie, altri luoghi di lavoro dove si affronta la quotidianità rispettando le norme, con tanto di mascherina a quaranta gradi, distanza fisica e sociale e igienizzazione delle mani. Se è vero che il Covid è riuscito a “visitare” lo spaccato della quotidianità, in quei stessi luoghi dove è entrato è stato sbattuto fuori la porta grazie al comportante previdente e prudente delle persone. Questo basta per capire quanto sia importante in questo momento cambiare il paradigma e l’approccio culturale verso l’emergenza. Non è restando a casa che si limita il contagio se poi ci si ritrova abbracciati e uno sopra all’altro in taverna o in giardino come pure non è senza eventi che la curva scende se ci si siede ad un bar senza dispositivi. La catena dei contagi si interrompe velocizzando screening e mappatura e in questo la politica dovrebbe ritrovare il lune della ragione. Ma il resto si gioca tutto nella quotidianità dove il virus ha fatto breccia tra giovani e meno giovani ma dove, parimenti, può trovare le porte chiuse grazie alla nostra responsabilità, come avvenuto a Cansano, il paese che ha fatto fronte comune sulla prevenzione. E’ forse il caso di fare una domanda in meno sull’ultimo dei positivi ma di guardarsi intorno, per capire dove andare e con chi andare, adottando tutte le misure del caso.

Andrea D’Aurelio

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