
Negli ultimi dieci anni la provincia dell’Aquila ha perso circa 4.000 studenti. Un numero che potrebbe sembrare contenuto, ma che assume un peso enorme se rapportato alla natura del territorio: la provincia più montuosa d’Abruzzo, con tanti piccoli comuni sparsi, dove la scuola non è soltanto un luogo di apprendimento, ma un presidio sociale, culturale e civile. Dove chiude una scuola, spesso inizia a morire un paese. A livello regionale, dal 2014 al 2024, l’Abruzzo ha visto sparire oltre 20.000 alunni, dentro un quadro nazionale che conta in media 100.000 studenti in meno ogni anno. Calo demografico, classi sempre più numerose, organici ridotti e investimenti scarsi hanno reso il sistema scolastico fragile proprio nei territori più esposti allo spopolamento. L’Italia, oggi, destina all’istruzione il 4,1% del PIL, meno della media europea (4,7%). La questione non è soltanto educativa ma politica, economica e sociale. Nelle aree interne, la chiusura di un plesso scolastico è la perdita di un presidio vitale: non si tratta solo di aule vuote, ma di comunità che rischiano di dissolversi. Per invertire la rotta, è in campo una proposta di legge presentata da Alleanza Verdi e Sinistra che punta a riportare la scuola al centro della vita dei piccoli centri. L’idea è semplice e radicale: classi con numeri sostenibili (tra 14 e 20 studenti, con limiti più bassi in presenza di alunni con disabilità), più personale ATA, criteri di dimensionamento che non penalizzino i comuni montani. Non si tratta di un lusso, ma della condizione minima per garantire il diritto allo studio e tenere vive le comunità. Accanto a questo servono politiche di respiro più ampio: trasporti scolastici efficienti che colleghino i paesi isolati ai poli come L’Aquila, Sulmona e Avezzano; scuole come presidi territoriali da rafforzare e innovare; connessioni digitali veloci che permettano ai giovani di studiare e alle famiglie di restare; integrazione tra scuola, sanità di prossimità e agricoltura locale, per costruire un modello di vita sostenibile in montagna. La scuola, insomma, non è un costo da tagliare ma un investimento strategico. Senza diritti di cittadinanza garantiti, non c’è sviluppo. Senza scuole aperte, non c’è futuro per i borghi dell’Appennino. Lo spopolamento non è una condanna naturale, ma una conseguenza politica. Fermarlo significa avere il coraggio di scegliere: più aule invece che più armi, più insegnanti invece che più carri armati. Perché il benessere di un Paese non si misura in mitra, ma nel numero di bambini che ogni mattina entrano a scuola nel loro paese.









