
Nel cuore del Palazzo dell’Emiciclo, un convegno ha acceso i riflettori su una ferita ancora aperta: quella della ricostruzione post-sisma 2009. A distanza di sedici anni dal terremoto che sconvolse L’Aquila e i comuni del cratere, il tema dei fondi mancanti torna al centro del dibattito politico. A sollevarlo sono stati gli esponenti del Partito Democratico, che parlano di un vero rischio di blocco dei lavori a partire dal 2026, se non si interverrà con nuovi finanziamenti. Secondo il senatore Michele Fina, il Governo guidato da Giorgia Meloni non avrebbe ancora stanziato un euro in più per la ricostruzione, rompendo così un filo che negli anni passati ha sempre garantito continuità e risorse. La presidente del gruppo PD alla Camera, Chiara Braga, ha confermato che i fondi attualmente disponibili derivano da governi precedenti, con l’ultimo stanziamento significativo, 2,7 miliardi di euro, risalente al secondo governo Conte. Di quella cifra restano circa 750 milioni, sufficienti solo fino alla fine del 2025. Per l’anno successivo, servirebbero almeno altri 600 milioni. Il timore condiviso è che, senza risorse certe nella prossima Legge di Bilancio, la ricostruzione subisca un arresto brusco. In ballo non ci sono solo opere pubbliche e case, ma il futuro stesso di comunità che ancora vivono tra cantieri aperti e promesse sospese. Oltre a ciò, restano fermi anche i 110 milioni del programma Restart 2 per la ripresa economica del cratere, risorse importanti che, secondo i Dem, sarebbero bloccate da logiche di potere e da una gestione autoreferenziale da parte dell’amministrazione comunale.
Il Governo, però, respinge con forza queste accuse. Il sindaco dell’Aquila Pierluigi Biondi ha replicato duramente, parlando di una “mistificazione” portata avanti dal PD. Ricorda come proprio esponenti di quel partito, in passato, avessero minimizzato il bisogno di nuovi fondi, e rivendica il lavoro svolto dall’esecutivo Meloni: dal rifinanziamento triennale per i comuni del cratere, alla stabilizzazione dei fondi per le minori entrate, fino alla previsione — già approvata — di 1,5 miliardi per il 2027 e 1,3 miliardi l’anno a partire dal 2028. A questi si aggiungono interventi per edilizia scolastica (oltre 111 milioni), il completamento del teatro comunale, la nascente Scuola nazionale dei Vigili del Fuoco e l’adeguamento dei contributi ai cantieri rallentati dal caro prezzi. Insomma, due visioni opposte. Da un lato l’allarme per ciò che manca, dall’altro l’elenco dettagliato di ciò che si è già fatto o si sta facendo. In mezzo, una città che da sedici anni aspetta non solo risposte tecniche, ma soprattutto certezze. Perché la ricostruzione non è solo una questione di soldi: è una promessa di futuro, e su quella, nessuno dovrebbe giocare.









