
C’è una nuova guida alla ASL1 Avezzano-Sulmona-L’Aquila. Si chiama Paolo Costanzi, ed è a lui che va un augurio sincero di buon lavoro. Ma insieme agli auguri, arrivano anche domande, aspettative e preoccupazioni. Perché in questa provincia – vasta, montuosa, popolata sempre più da anziani e sempre meno da giovani – la sanità pubblica è diventata una corsa a ostacoli. E troppe volte chi ha bisogno di cure si ritrova solo. L’Aquila, Avezzano, Sulmona: tre ospedali di I livello, un ospedale in area disagiata, decine di ambulatori e punti di assistenza che cercano di coprire un territorio enorme. Ma dietro i numeri si nascondono problemi reali: ospedali senza personale, liste d’attesa infinite, reparti che chiudono d’estate, carenza di farmaci, servizi territoriali smantellati. E poi c’è il cuore della questione: la gente. Quella che non riesce più a curarsi perché non ha soldi, né un mezzo per spostarsi, né qualcuno che la aiuti. E se può, scappa verso le cliniche private o gli ospedali di fuori. Chi resta, invece, si arrangia. Spesso rinuncia alle cure. E con dignità affronta anche quello che dignitoso non è: l’assenza dello Stato là dove dovrebbe esserci. Dove dice di voler esserci. La CGIL, da tempo, denuncia il progressivo impoverimento della sanità pubblica. Non lo fa per abitudine, ma per dovere. Lo fa perché a credere nei diritti ci si crede sempre, anche quando sembra che nessuno li voglia più ascoltare. Chiede che il nuovo direttore prenda atto della realtà e scelga la strada più difficile: quella del cambiamento. Non servono miracoli, ma una visione. Servono strutture che funzionino, personale formato e motivato, rispetto dei contratti, assunzioni stabili, fine del precariato e delle esternalizzazioni che svuotano il sistema. Servono servizi di prossimità per le persone fragili, anziani e malati cronici che hanno bisogno di assistenza continua, non solo di ospedali. Ma soprattutto serve un’idea di sanità pubblica che rimetta al centro le persone: chi lavora ogni giorno tra turni massacranti e stipendi inadeguati, e chi si affida al sistema per un bisogno di salute, che dovrebbe essere un diritto, non un privilegio. Un direttore generale non può fare tutto da solo, ma può scegliere con chi camminare. Può ascoltare chi vive il territorio e non calare dall’alto decisioni scollegate dalla realtà. Può aprire un confronto vero, costante, continuo. Può – e deve – pretendere autonomia dalla politica per rimettere al centro l’interesse collettivo. In questo momento storico, in cui i servizi pubblici si stanno sgretolando, ogni scelta pesa. Ogni silenzio pesa. Ed è per questo che oggi, da questa provincia che conosce la fatica, il lavoro e la montagna, parte una richiesta chiara: apriamo un dialogo serio, concreto e rispettoso. Perché la salute non è un favore. È un diritto. E perché l’inizio, come scriveva Platone, è davvero la parte più importante del lavoro.









