
Per milioni di famiglie l’allergia alle arachidi non è solo una “seccatura”, ma un pensiero fisso: etichette da decifrare, feste di compleanno da evitare, autoiniettore di adrenalina sempre in tasca. Oggi però la prospettiva sta cambiando. Nuove terapie — alcune già approvate, altre in fase avanzata di studio — stanno rendendo più sicura la quotidianità di bambini e adulti e aprono la strada a cure per molte altre allergie alimentari. La svolta è iniziata con la desensibilizzazione mirata. Nel 2020 è arrivata la prima terapia specifica per l’allergia alle arachidi: una polvere a dosi controllate (immunoterapia orale) che abitua gradualmente il sistema immunitario a tollerare piccole quantità dell’allergene, riducendo il rischio in caso di esposizioni accidentali. Non è una “bacchetta magica” — richiede costanza e può dare effetti collaterali — ma ha cambiato la vita di molte famiglie che non potevano affidarsi solo all’evitamento. Accanto alla via orale, la ricerca ha sviluppato altre strade “dolci” per educare il sistema immunitario: la via sublinguale e soprattutto il cerotto epicutaneo con proteine di arachide a microdosi. Negli studi clinici più recenti, proprio il cerotto ha permesso a una buona quota di bimbi molto piccoli di aumentare in modo significativo la quantità tollerata, con un protocollo più semplice da gestire a casa. Anche qui l’obiettivo non è “mangiare liberamente a volontà”, ma rendere molto meno pericoloso l’imprevisto. Il 2024 ha segnato un altro passo importante: l’approvazione dell’omalizumab (un anticorpo monoclonale anti-IgE già usato nell’asma allergico) per ridurre il rischio di reazioni a vari alimenti, arachidi incluse. Colpendo a monte la cascata infiammatoria mediata dalle IgE, questa terapia ha mostrato di aumentare la soglia di reazione in bambini e ragazzi con allergie multiple, e può essere usata da sola o come supporto per rendere più agevole la desensibilizzazione. È un cambio di paradigma: non si lavora più solo “contro” un alimento, ma sulla risposta allergica in generale. All’orizzonte arrivano poi strategie ancora più innovative. Una linea di ricerca associa farmaci biologici che abbassano la produzione di IgE con anticorpi mirati alle cellule che le generano, con l’idea — ambiziosa — di “spegnere” la memoria allergica. Altri gruppi stanno testando nanoparticelle lipidiche con mRNA che presentano frammenti dell’allergene a cellule immunitarie “educatrici”, per riconfigurare la risposta senza scatenare infiammazione. Sono studi iniziali, ma indicano una direzione chiara: trattamenti più precisi, più sicuri e meno invasivi. Intanto, sul fronte della prevenzione, la scienza ha ribaltato vecchie raccomandazioni. I grandi studi sugli infanti hanno mostrato che introdurre in modo controllato e precoce piccole quantità di arachide nella dieta dei bambini a rischio riduce drasticamente la probabilità di sviluppare l’allergia negli anni successivi. È una delle prove più solide che abbiamo: l’esposizione guidata, al momento giusto, “insegna” al sistema immunitario la tolleranza. Qui il messaggio pratico è duplice: i genitori non devono improvvisare (serve sempre il pediatra, soprattutto in presenza di eczema o altre allergie) ma è bene sapere che l’evitamento prolungato, da solo, non è più la via maestra. Certo, resta tanta strada da fare. Le terapie di desensibilizzazione richiedono tempo, adesione costante e un supporto clinico vicino; non tutte le persone rispondono allo stesso modo; e chi ha forme molto gravi deve continuare a usare prudenza e portare con sé l’adrenalina. Ma il quadro oggi è molto meno cupo di dieci anni fa: tra immunoterapia orale, cerotti, farmaci anti-IgE e pipeline di nuove tecnologie, il ventaglio di opzioni si allarga e si personalizza, fase della vita per fase della vita. Tradotto in quotidiano: più serenità a scuola e in viaggio, meno ansia per l’assaggio involontario, più possibilità di partecipare a momenti sociali senza sentirsi esclusi. E per i genitori di bimbi piccoli, una prevenzione basata su prove, da costruire con il pediatra, che può evitare l’allergia prima ancora che compaia. Non siamo ancora alla “cura definitiva”, ma il traguardo di un’allergia sempre meno minacciosa — e un giorno forse disinnescata alla radice — non è più fantascienza. È medicina che avanza, oggi.









