
Saltare la colazione, cenare presto, limitare la finestra in cui si mangia: il digiuno, nelle sue tante forme, è diventato un fenomeno sociale. Ma cosa succede davvero al cervello quando smettiamo di introdurre calorie per alcune ore? La letteratura scientifica degli ultimi anni tratteggia un quadro interessante: segnali di beneficio su memoria, umore e benessere generale ci sono, ma non sono una licenza per improvvisare. Dopo 8–12 ore senza cibo siamo tecnicamente a digiuno. Intorno alle 14 ore l’organismo avvia lo switch metabolico: finite le scorte di glucosio, il fegato comincia a usare i grassi e produce corpi chetonici che diventano carburante anche per il cervello. Questo cambiamento innesca processi di adattamento allo stress utili: aumenta la riparazione del DNA, si attiva l’autofagia (il “riciclo” dei componenti cellulari difettosi), calano infiammazione sistemica e stress ossidativo, tutti fattori legati all’invecchiamento e a molte malattie croniche. Nel sistema nervoso i chetoni sembrano favorire la produzione di BDNF, il fattore neurotrofico che sostiene la crescita dei neuroni e la formazione di nuove sinapsi, in particolare in aree chiave come ippocampo (memoria), striato (motivazione e movimento), ipotalamo (omeostasi) e tronco encefalico. In modelli animali si osservano anche più mitocondri “nuovi” nelle cellule e una migliore resistenza allo stress. Nell’uomo i dati sono più scarsi ma promettenti: alcuni studi controllati riportano miglioramenti di memoria e funzioni esecutive negli anziani e meta-analisi su migliaia di partecipanti descrivono, con il digiuno intermittente, riduzioni di sintomi depressivi, stress percepito e indice di massa corporea. Va detto, però, che non tutte le analisi confermano gli effetti su ansia e stress, e che negli studi sul digiuno è impossibile “ciecare” i partecipanti: una parte del beneficio può dipendere dall’aspettativa o dal fatto che si smettono per un periodo cibi ultra-processati. Due grandi famiglie, differenze sostanziali. Il digiuno terapeutico è un protocollo medico strutturato (meno di 500 kcal/die per 1–3 settimane, liquidi consentiti) che richiede sorveglianza clinica e spesso associa movimento leggero. Il digiuno intermittente alterna finestre di alimentazione e di astinenza entro le 24 ore (16:8, 5:2, giorni alterni), senza per forza ridurre le calorie totali: l’interesse qui nasce anche dalla cronobiologia, cioè dall’allineamento tra orari dei pasti e ritmi circadiani. In esperimenti su animali, a parità di calorie, concentrare i pasti in poche ore ha protetto da obesità e diabete; nell’uomo questo approccio può aiutare a regolare il metabolismo solo se la qualità della dieta resta alta. Non c’è solo il cervello. In persone con diabete di tipo 2, interventi di digiuno ben seguiti e integrati alle terapie abituali hanno mostrato perdita di peso, migliore sensibilità all’insulina e profili glicemici più stabili. In oncologia clinica si studiano diete mima-digiuno come supporto ai trattamenti: i segnali sono interessanti ma ancora preliminari e non sostituiscono le cure standard. E gli effetti “di testa”? Molti riferiscono già dopo pochi giorni più chiarezza mentale, umore migliore e senso di leggerezza. Una possibile spiegazione combina minore infiammazione cerebrale, endorfine più alte e un “reset” dei circuiti della fame: il sistema parasimpatico prende il sopravvento, si abbassano pressione e frequenza cardiaca, si dorme meglio. Ma il margine individuale è ampio: non tutti reagiscono allo stesso modo. Prudenza prima di tutto. Il digiuno non è per chiunque. È controindicato per bambini e adolescenti, gravidanza e allattamento, anziani fragili, disturbi del comportamento alimentare, ipotiroidismo non controllato, sottopeso, patologie acute, atleti di endurance, terapie che richiedono assunzione a stomaco pieno. In presenza di malattie croniche o farmaci, va discusso con il medico. Anche per i sani, la regola d’oro è semplice: iniziare gradualmente, scegliere una finestra oraria sostenibile, dormire a sufficienza, mantenere una dieta di qualità (proteine adeguate, fibre, grassi “buoni”), evitare il “compenso” con junk food, fermarsi in caso di sintomi avversi. Il messaggio da portare a casa è sobrio ma incoraggiante: il digiuno, soprattutto nelle forme intermittenti e ben integrate allo stile di vita, può diventare uno strumento in più per la salute cerebrale e metabolica. Non è una bacchetta magica, non sostituisce movimento, sonno e alimentazione equilibrata, ma può aiutare il cervello a lavorare meglio… a patto di praticarlo con testa.









