
La guerra è arrivata come un rumore che spacca il petto. Prima le sirene, poi le esplosioni, il cielo che vibra. E il mare, quel mare che per secoli ha fatto da ponte tra popoli, si è riempito di suoni che non gli appartengono: missili, sonar, jet a bassa quota. Da quel giorno, nel Mar Nero, persino il canto dei delfini ha iniziato a perdersi. Nel 2022, tra Bulgaria, Romania, Turchia, Georgia e Ucraina, sono stati avvistati oltre 900 cetacei spiaggiati. È solo la punta dell’iceberg: i corpi che non arrivano a riva potrebbero essere decine di migliaia. La domanda, ormai, non è più perché muoiono? ma chi li sta uccidendo? In un gazebo blu, al Campus Agripolis dell’Università di Padova, Karina monta una troncatrice. È minuta, capelli raccolti, camice sopra un felpone. Taglia denti di delfino per contarne gli anelli al microscopio: così si stima l’età, come con un albero. “Non è una roba romantica”, dice. “La morte è un punto di partenza: per capire, studiare, proteggere”. Il suo viaggio l’ha portata qui il 21 febbraio 2022, tre giorni prima dell’invasione russa. Doveva tornare a Odessa. Il volo è stato cancellato, la vita reindirizzata. Colleghi appena conosciuti l’hanno letteralmente presa per mano in questura, le hanno trovato un contratto, una casa, un laboratorio. Intanto, le camere di necroscopia si sono riempite di campioni arrivati da tutta la regione del Mar Nero: non solo Mediterraneo, ma lembi di un mare ferito che chiede ascolto. Ascoltare, però, è diventato pericoloso. Le esplosioni, i sonar militari e i voli radenti traumatizzano i cetacei, alterano l’ecolocalizzazione, li disorientano: finiscono nelle reti, si perdono, si spiaggiano. Sui corpi, a volte ci sono ustioni e ferite; altre volte, nessun segno. Intanto, fare ricerca sul campo è quasi impossibile: spiagge minate, mare pattugliato, laboratori senza corrente, vite sospese. Non si contano solo i delfini: si contano anche gli scienziati che hanno lasciato il paese, chi è al fronte, chi cerca di tenere insieme una comunità scientifica dimezzata proprio quando servirebbe di più. Pavel, zoologo dell’Accademia nazionale delle scienze d’Ucraina, ricorda il 2014: la Crimea occupata, l’università “presidiata”, un aereo preso in fretta con la famiglia. È rimasto in Ucraina nel 2022, tra sfollati, blackout e mappe satellitari. Il suo lavoro oggi è spesso remoto: immagini da analizzare, foreste bruciate da quantificare, scie di petrolio da seguire. Come nel disastro nello stretto di Kerch, quando due petroliere hanno riversato in mare migliaia di tonnellate di carburante e in pochi giorni sono morti decine di cetacei. Altri danni sono invisibili: il combustibile dei missili affonda e tace, ma avvelena; la formula è segreta, cercarla in acqua costa crazy money. Eppure, bisogna provarci, misurare, documentare. Perché la guerra lascia anche un lessico nuovo: ecocidio. Dopo l’esplosione della diga di Kakhovka, un’onda nera ha trascinato tossine e detriti fino al mare, alterando correnti e salinità, accendendo fioriture di plancton cento volte oltre il normale. Non sta a noi accusare, dice Pavel. Sta a noi portare prove. Ci sono storie che sembrano favole al contrario, e raccontano come ci si salva cambiando rotta. Olga era una biologa marina in Russia: droni su mari artici, riprese mai viste prima di orche che cacciano in branco. Il 22 febbraio 2022 è salita su un treno con uno zaino ed è tornata in Ucraina. “Il tempo di salvare le balene era finito. Era ora di salvare le persone.” Oggi coordina rifornimenti per i soldati con Assist Ukraine: generatori, droni, ma anche calze, intimo, cose semplici e vitali. Dice che metà del suo lavoro è logistica, l’altra metà è ascolto. Alla sera torna a casa distrutta, spesso senza aver fatto colazione. Ha adottato un cane, Lucky. “Per tutta la vita ho salvato animali. Ora è Lucky che salva me.” Anche la scienza, quando può, trova spiragli. Julia, dottoranda tra Kyiv e St Andrews, studia i cetacei con idrofoni: microfoni ancorati al fondo marino per mappare il paesaggio sonoro. Aveva messo in fila quattro paesi, una catena di ascolto lungo le coste del Mar Nero. Poi la guerra ha tagliato i cavi e chiuso i porti. Eppure, mesi dopo, un cilindro è riemerso su una spiaggia ucraina: sembrava un missile, stavano per farlo brillare. Un comandante ha letto la scritta incisa sul lato, ha chiamato il produttore. Era un idrofono: dentro, l’ultimissimo set di registrazioni. A volte la scienza sopravvive così, per un colpo d’occhio, per una scritta non ignorata. Intanto, le parole si spostano. Ricerca, collezioni, collaborazioni diventano fragili, ambigue, armi. “Uno scienziato russo è un soldato russo”, dice Pavel, pensando a reperti prelevati dai musei nelle zone occupate e ripubblicati con nuovi numeri di catalogo oltre confine. È un’accusa dura, che nasce dall’esperienza diretta e da un’idea tradita di comunità scientifica globale. Forse, dopo la guerra, non tornerà tutto com’era. Forse dovremo riscrivere anche le regole della fiducia. E però, in mezzo a macerie e paure, resta un filo ostinato: casa. Karina ci è tornata per pochi giorni, a Odessa, nel 2023, a prelevare campioni. “Dovevo farlo per il lavoro, ma soprattutto per rimettere piede sulla terra madre, abbracciare chi amo, capire che sono vivi.” Sorride quando dice torneremo. Non presto, non è realistico. Ma torneremo. Lei e Pavel sognano un istituto di ricerca in Crimea, ricominciare da Kerch, da quel 2006 che per Karina è stata la prima necroscopia e una vocazione. Intanto, nel laboratorio di Padova, mentre Johnny B. Goode suona in sottofondo, i denti di delfino si tingono di blu sui vetrini. Strati sottilissimi, uno per ogni anno vissuto. Anche la guerra, come il mare, lascia strati. E la scienza, paziente, prova a leggerli: per dare un nome al danno, per costruire giustizia, per curare ciò che si può curare. Un’isola di speranza rimane nel gesto più semplice: contare, registrare, tenere traccia. È così che si difende un mare. È così che si difendono le persone. E forse un giorno, quando il rumore tacerà, i delfini torneranno a rispondersi. Il mare, allora, ricorderà il nostro silenzio.









