
Il nostro pianeta sta accumulando calore a una velocità sempre maggiore, e i segnali che arrivano dagli oceani e dai ghiacci antartici lo confermano in modo allarmante. Non si tratta di previsioni astratte: lo squilibrio energetico della Terra — cioè, la differenza tra quanta energia arriva dal Sole e quanta ne viene riflessa o dispersa nello spazio — è oggi più che doppio rispetto a vent’anni fa. Secondo uno studio internazionale, pubblicato su Science Advances e coordinato dall’Istituto di Scienze Polari del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Isp) insieme all’Università Ca’ Foscari Venezia, un fenomeno simile era già avvenuto circa 18.000 anni fa, alla fine dell’ultima era glaciale. Allora, una corrente oceanica calda — la Corrente Circumpolare Profonda — riuscì a risalire fino alla base dell’enorme piattaforma di ghiaccio del Mare di Ross, in Antartide, innescando una serie di eventi che portarono al suo arretramento.
Che cosa ci racconta oggi l’equilibrio energetico della Terra
Proprio come un bilancio familiare, il sistema climatico funziona in base a entrate e uscite. La “moneta” è l’energia: quella solare che raggiunge la superficie terrestre deve essere in equilibrio con quella che la Terra rimanda nello spazio. Ma l’aumento di gas serra come l’anidride carbonica e il metano ha trasformato l’atmosfera in una coperta che trattiene calore. Negli anni Duemila, lo squilibrio era di circa 0,6 watt per metro quadro. Oggi è salito a 1,3 watt per metro quadro. Significa che la Terra sta accumulando energia a un ritmo doppio rispetto a due decenni fa. Questa energia in eccesso non resta ferma: scalda l’aria, scioglie ghiacciai e banchi di ghiaccio, ma soprattutto finisce negli oceani, che assorbono oltre il 90% del calore in più grazie alla loro capacità di accumulare energia. È come se gli oceani fossero la “cassaforte” termica del pianeta. E quando questa cassaforte trabocca, le conseguenze ricadono sul clima globale: eventi estremi, innalzamento del livello del mare, modifiche irreversibili agli ecosistemi.

Cosa ci insegna la storia dell’Antartide
Il nuovo studio del Cnr-Isp, insieme a università e centri di ricerca europei, racconta come i movimenti di calore nelle profondità oceaniche abbiano già destabilizzato enormi piattaforme di ghiaccio in passato. Grazie all’analisi di sedimenti marini prelevati dal Mare di Ross, i ricercatori hanno ricostruito 40.000 anni di storia, scoprendo che — circa 20.000 anni fa — la Corrente Circumpolare Profonda, più calda delle acque superficiali, è riuscita a risalire fino a intaccare la base della piattaforma di ghiaccio. Questo meccanismo di “acqua calda che erode dal basso” ha contribuito in modo decisivo a rompere la piattaforma, spingendola a ritirarsi. Oggi sappiamo che questa enorme piattaforma glaciale copriva un’area molto più vasta di quella attuale, estendendosi per circa 1.000 km in più. Il motore di questo processo furono i venti: lo spostamento verso sud dei venti occidentali ed orientali spinse la corrente calda a risalire lungo la piattaforma continentale. Questo scenario di instabilità passata è sorprendentemente simile a ciò che stiamo osservando oggi in Antartide: oceani più caldi, venti più intensi e piattaforme glaciali che mostrano segni di cedimento.
Perché tutto questo ci riguarda
La piattaforma di ghiaccio nel Mare di Ross svolge un ruolo essenziale: agisce come un “tappo” che tiene bloccati i ghiacci continentali. Se questo “tappo” si indebolisce, enormi masse di ghiaccio possono fluire verso l’oceano, contribuendo in modo drammatico all’innalzamento del livello del mare. Secondo i ricercatori, se questa dinamica si innescasse su larga scala, il potenziale di innalzamento dei mari potrebbe superare i 60 metri nel lunghissimo periodo. In altre parole, il legame tra oceano e ghiaccio è così stretto che anche piccole variazioni di temperatura, correnti e venti possono amplificare i rischi legati al cambiamento climatico.
Monitorare oggi per agire domani
Comprendere questi fenomeni non è solo ricerca teorica. È un segnale per la politica, l’economia e le nostre comunità: serve investire nel monitoraggio continuo del clima, soprattutto con i satelliti e le reti di boe oceaniche, per scoprire in tempo reale eventuali accelerazioni o anomalie. Tagliare i fondi per queste ricerche — come sta accadendo in alcuni Paesi — è come bendarsi mentre la casa va a fuoco. Ecco perché la cooperazione scientifica internazionale e il sostegno a lungo termine a progetti come il Programma Nazionale di Ricerche in Antartide (PNRA) sono strumenti cruciali.
La lezione da portare a casa
La storia dei ghiacci antartici ci ricorda che il clima non è statico. Il sistema Terra risponde con delicate interazioni tra atmosfera, oceani e ghiacci. Se oggi stiamo raddoppiando la quantità di calore che resta intrappolato sul pianeta, dobbiamo aspettarci reazioni più rapide e complesse di quanto previsto. La strada da percorrere è chiara: ridurre drasticamente le emissioni di gas serra, proteggere le aree polari, rafforzare la ricerca scientifica e agire sulle cause, prima che la storia si ripeta su scala ancora più grande.