
Saper leggere e scrivere non basta per orientarsi nel mondo della salute. Oggi serve una nuova forma di conoscenza, quella che gli esperti chiamano “health literacy”, o alfabetizzazione sanitaria: la capacità di trovare, comprendere e usare in modo consapevole le informazioni che riguardano la nostra salute. È un’abilità sempre più cruciale, tanto che l’Organizzazione Mondiale della Sanità la definisce un “determinante critico” del benessere. I numeri parlano chiaro: chi ha una bassa alfabetizzazione sanitaria ha più probabilità di essere ricoverato, di usare male i farmaci, di non gestire correttamente le malattie croniche e persino di andare incontro a un rischio più alto di morte prematura. In Italia, secondo le stime più recenti, quasi la metà della popolazione avrebbe difficoltà a orientarsi tra ricette mediche, referti, campagne di prevenzione e informazioni online. La health literacy nasce negli Stati Uniti negli anni Settanta, quando nelle corsie degli ospedali si scopre che molti pazienti – spesso stranieri o con bassa istruzione – faticano a capire diagnosi e terapie. Da lì si è capito che la salute non dipende solo dai medici o dai farmaci, ma anche da quanto le persone sanno interpretare i messaggi sanitari. Perché comprendere bene una prescrizione, sapere a cosa serve un farmaco o distinguere una notizia attendibile da una fake news può letteralmente salvare la vita. In Italia, alcune realtà hanno scelto di lavorare proprio su questo terreno. In Piemonte, per esempio, la Fondazione Biblioteca Biomedica Biellese (3Bi) collabora con biblioteche civiche, scuole e operatori sanitari per rendere accessibili le informazioni sulla salute. Attraverso i “Caffè del Benessere”, incontri nei quartieri e nei piccoli paesi, cittadini e professionisti si confrontano su temi come alimentazione, farmaci e disinformazione online. “Spesso la gente si fida del primo sito che trova su Google”, racconta Leonardo Jon Scotta, psicologo e bibliotecario sanitario. “Il nostro compito è insegnare a leggere le fonti, distinguere i contenuti affidabili e non lasciarsi ingannare dagli algoritmi”. Accanto ai progetti comunitari, anche il sistema sanitario locale si muove. A Biella, le infermiere di famiglia e di comunità organizzano incontri e visite domiciliari per spiegare in modo semplice le terapie, prevenire cadute, promuovere corretti stili di vita e sostenere i pazienti cronici. “A volte il nostro lavoro è tradurre il linguaggio medico”, spiega Sandra Piolatto. “Non dico ‘disfagia’, ma chiedo: ‘Le capita che il cibo le vada di traverso?’ Così la persona capisce e si sente parte del dialogo”. Dietro tutto questo c’è un principio chiave: la salute è una costruzione collettiva. Aumentare la comprensione delle informazioni sanitarie non serve solo a chi si ammala, ma anche a rendere più efficiente il sistema nel suo insieme. Quando i cittadini comprendono meglio, fanno meno accessi inutili al pronto soccorso, aderiscono con più consapevolezza ai percorsi di cura e aiutano a ridurre i costi e il sovraccarico dei servizi. In molti Paesi, come l’Australia, esistono strategie nazionali per promuovere l’alfabetizzazione sanitaria. In Italia, invece, i progetti sono ancora locali, spesso nati dalla buona volontà di operatori e associazioni. Ma l’esperienza di Biella dimostra che anche in una sala parrocchiale o in un piccolo ambulatorio si può fare vera educazione alla salute, con rigore, empatia e qualche sorriso. Capire la salute, in fondo, è il primo passo per curarsi meglio. E per imparare a leggere – davvero – il linguaggio del proprio benessere.









