
C’è un’isola dove il mare racconta storie. Un’isola che parla con la voce delle onde e canta attraverso i respiri trattenuti delle donne che lo abitano. È Jeju, nel sud della Corea, e le sue protagoniste sono le Haenyeo – letteralmente, le “donne del mare”. Figure antiche, coraggiose, che da secoli sfidano le profondità dell’oceano senza bombole né attrezzature sofisticate. Solo il proprio corpo, la propria esperienza, la propria volontà. Sono pescatrici, ma sembrano ninfe. Si immergono in apnea per catturare ricci, polpi, abaloni, alghe. Con grazia e precisione, nuotano nelle acque fredde come creature acquatiche. Alcune restano sott’acqua per novanta secondi. Altre, anche più a lungo. Ma non è solo la prestazione fisica a renderle straordinarie: è la storia che portano dentro.
Madri, figlie e dee del mare
La loro tradizione risale a secoli fa. Le Haenyeo esistono almeno dal V secolo, ma è nel XVIII secolo che diventano simbolo di resistenza: mentre gli uomini partivano per la guerra, loro rimanevano a provvedere alle famiglie, scendendo in acqua giorno dopo giorno. In un mondo dominato dagli uomini, queste donne costruivano una professione tutta al femminile, lasciando che il mare le forgiasse come maestre di apnea, custodi del cibo e dell’identità. Ogni Haenyeo nasce due volte: la prima alla vita, la seconda al mare. L’addestramento comincia da bambine, con gli occhi pieni di sogni e i polmoni ancora piccoli. Crescono imparando a leggere le correnti, a riconoscere il canto delle conchiglie, a rispettare i ritmi della natura. Solo dopo anni diventano “Sanggun”, le più esperte, le più sagge. Alcune superano ancora le più giovani, anche dopo i sessant’anni, con la forza della memoria e dell’abitudine.
Un patrimonio di resistenza e bellezza
Nel 2016 l’UNESCO le ha riconosciute come Patrimonio Immateriale dell’Umanità. Ma non basta una medaglia a preservare un mestiere duro, spesso malpagato, che oggi le nuove generazioni faticano ad abbracciare. Le Haenyeo pescano meno che in passato, guadagnano poco, eppure restano lì. Resilienti. Come il mare in inverno. La loro è anche una sfida biologica. Uno studio recente, pubblicato su Cell Reports, ha svelato che queste donne possiedono tratti genetici unici: il loro corpo è capace di regolare la pressione sanguigna in modo eccezionale durante l’immersione. Alcune variazioni genetiche sembrano aiutarle a sopportare l’apnea e il freddo, e forse a trasmettere questi “superpoteri” a tutta la popolazione dell’isola.
Il cuore che batte più piano
Quando una Haenyeo immerge il viso nell’acqua, il suo cuore rallenta. Letteralmente. Più di quanto accada a chiunque altro. È un riflesso fisiologico, chiamato “diving response”, che consente di risparmiare ossigeno. Ma nelle Haenyeo questo riflesso è accentuato, come se i loro corpi si fossero lentamente modellati sulle esigenze del mare. Alcune continuano a immergersi persino durante la gravidanza, senza conseguenze per loro o per i bambini. Un miracolo della natura? Forse. O forse solo l’effetto di secoli di simbiosi con l’oceano.
Quando la scienza diventa poesia
Gli scienziati guardano alle Haenyeo con occhi incantati. In un’epoca in cui si studia la malattia, loro ci ricordano la forza della salute. In un mondo che dimentica il passato, loro lo portano inciso sulla pelle, nei calli, nelle cicatrici, nei sorrisi silenziosi. Vivere come una Haenyeo è vivere in equilibrio tra la terra e il mare, tra la fatica e la grazia, tra l’umano e il mitico.
Un consiglio per il viaggio
Se un giorno visiterete Jeju, cercatele. Magari lungo le coste, dove il mare è più blu e una boa colorata galleggia vicino agli scogli. Forse, dopo qualche minuto, vedrete emergere un volto, un respiro, un’altra storia. Forse incontrerete una sirena, viva, vera, con il sale sulla pelle e il mare negli occhi. E in quel momento capirete che le Haenyeo non sono soltanto un patrimonio culturale. Sono una poesia scritta dall’acqua. E ci insegnano, ancora oggi, a respirare il mondo con più profondità.