
Venerdì scorso 13 giugno, aerei militari israeliani hanno colpito un impianto iraniano per l’arricchimento dell’uranio nei pressi della città di Natanz, uno dei nodi chiave del programma nucleare della Repubblica islamica. Secondo alcune fonti, l’obiettivo non era tanto la distruzione totale dell’infrastruttura, quanto guadagnare tempo e ritardare i progressi del programma nucleare iraniano, da tempo sorvegliato con preoccupazione da parte della comunità internazionale. Nonostante le ripetute smentite dell’Iran circa l’intenzione di costruire armi nucleari, molti esperti parlano da tempo di un possibile “breakout”: il momento in cui un Paese è in grado di produrre in tempi brevi il materiale fissile sufficiente a una bomba.
Ma cos’è l’arricchimento dell’uranio?
Alla base della questione c’è l’uranio, un metallo che si trova in natura. Ma solo una piccolissima parte di questo uranio (lo 0,7%) è fatta di un tipo chiamato U-235, che può essere usato per fare una bomba nucleare. La maggior parte dell’uranio naturale, invece, è un altro tipo, chiamato U-238, che non funziona per far partire l’esplosione. Per costruire un’arma nucleare serve molto più U-235, quindi bisogna separarlo dall’U-238. Questo processo si chiama arricchimento. Quando si riesce ad arrivare a una concentrazione del 90% di U-235, l’uranio è considerato adatto per una bomba. Questa è la soglia che preoccupa i governi e le organizzazioni internazionali. Il processo inizia con la cosiddetta yellowcake, una polvere giallastra che contiene ossidi di uranio. Attraverso una serie di reazioni chimiche, la yellowcake viene convertita in esafluoruro di uranio, una sostanza che può essere portata allo stato gassoso e introdotta nelle centrifughe: cilindri che ruotano a velocità estreme – anche più veloci delle pale di un motore a reazione – separando gli isotopi più pesanti da quelli più leggeri. Il gas leggermente arricchito viene trasferito da una centrifuga all’altra, in una catena ripetuta decine di volte. Più centrifughe si usano, e più avanzate sono, più veloce sarà l’arricchimento. L’Iran ha accumulato circa 400 chilogrammi di uranio arricchito al 60%, ancora al di sotto della soglia del 90%, ma comunque una base per un ulteriore arricchimento rapido. Le vecchie centrifughe IR-1, pur girando a circa 63.000 giri al minuto, sono relativamente lente. Ma i nuovi modelli IR-6, realizzati in fibra di carbonio, sono molto più veloci ed efficienti. Secondo l’Institute for Science and International Security (centro di ricerca indipendente, con sede a Washington, D.C., che si occupa di sicurezza internazionale), con le IR-6 bastano due o tre giorni per produrre abbastanza U-235 per una singola bomba. Con la rete di centrifughe installate, l’Iran potrebbe arrivare a costruire fino a 19 testate in tre mesi. Gran parte di queste centrifughe si trova nell’impianto sotterraneo di Fordow, scavato sotto 80 metri di roccia, rendendolo estremamente difficile da colpire o sabotare.
Perché l’attacco a Natanz?
L’attacco israeliano di giugno può essere letto come una mossa preventiva, volta a rallentare una corsa che potrebbe diventare irrefrenabile. In un contesto geopolitico instabile e segnato da crescenti tensioni tra Iran e Israele, il nucleare torna a essere una linea rossa. E anche se ufficialmente Teheran continua a dichiarare che il suo programma è esclusivamente civile, i fatti – e le centrifughe – raccontano una storia che continua a destare grande preoccupazione.