
Cinquant’anni fa l’umanità guardava a Marte con speranza e curiosità. Era l’estate del 1976 quando le due sonde gemelle Viking della NASA atterrarono sul pianeta rosso per tentare qualcosa di straordinario: cercare forme di vita. Fu un’impresa senza precedenti. Per la prima volta veicoli operativi e funzionanti si posavano dolcemente su un altro pianeta, aprendo una nuova epoca nell’esplorazione spaziale. Le Viking non portavano con sé soltanto telecamere e strumenti per studiare vento, polvere e atmosfera, ma anche piccoli laboratori biologici. L’obiettivo era semplice e rivoluzionario allo stesso tempo: capire se nel suolo marziano esistessero microrganismi. I risultati, però, furono tutt’altro che chiari. Dei tre esperimenti condotti, solo uno suggeriva una possibile traccia biologica; gli altri sembravano più il frutto di reazioni chimiche non legate alla vita. E a complicare le cose ci fu l’assenza di composti organici, cosa inspiegabile considerando che i meteoriti, cadendo su Marte per miliardi di anni, ne avrebbero dovuti lasciare in abbondanza. Solo decenni dopo, nel 2008, la scoperta del perclorato nel suolo marziano fornì una spiegazione plausibile: quel composto distrugge le molecole organiche quando viene riscaldato, come avveniva durante gli esperimenti Viking. Eppure, nonostante la prudenza degli scienziati dell’epoca, le domande sono rimaste aperte. Alcuni ricercatori, come Steven Benner, hanno persino proposto modelli che rileggevano quei dati in modo nuovo: forse i microrganismi c’erano davvero e si comportavano in maniera diversa da ciò che si immaginava, nutrendosi di carbonio radioattivo e rilasciando ossigeno in condizioni di umidità. Mezzo secolo dopo, la missione Viking continua ad affascinare e a dividere. Non ha dato risposte definitive, ma ha cambiato il nostro modo di guardare a Marte, mostrandoci un pianeta complesso, con cicli atmosferici stagionali, calotte polari che si espandono e si riducono, cieli colorati dalla polvere e forse – ancora forse – una vita nascosta da qualche parte. La ricerca non si è mai fermata e oggi, con nuove sonde e rover, continuiamo a inseguire quella stessa domanda che nel 1976 ci portò fin lassù: siamo soli nell’universo?









