
Hai detto “vado a letto” mezz’ora fa. Ma eccoti ancora lì, a scrollare lo smartphone, rispondere a un messaggio, guardare “solo un altro” video. La notte si allunga, il sonno si allontana. Ti riconosci? Tranquillo: sei in buona compagnia. Quello che stai facendo ha persino un nome scientifico: bedtime procrastination, ovvero la tendenza a rimandare volontariamente il momento di andare a dormire, pur sapendo che ne pagheremo le conseguenze il giorno dopo. Un comportamento così diffuso da aver catturato l’interesse della psicologia contemporanea. Il termine è stato introdotto nel 2014 dalla ricercatrice olandese Floor Kroese e si riferisce a quella forma di auto-sabotaggio notturno in cui, senza motivi validi, posticipiamo il riposo. Spesso la colpa è della tecnologia. Smartphone, tablet, serie TV, videogiochi: l’intrattenimento è sempre a portata di mano, e la notte sembra l’unico momento in cui possiamo concederci qualcosa per noi. Alcuni parlano perfino di revenge bedtime procrastination, un’espressione nata in Cina, dove le giornate lavorative sono lunghe e stressanti: rinunciare al sonno diventa un atto di ribellione, l’unico spazio di libertà in un’agenda fitta. Ma libertà o no, il conto arriva comunque: stanchezza, difficoltà di concentrazione, calo delle prestazioni, irritabilità. E sul lungo periodo, anche conseguenze più gravi: disturbi del sonno, problemi cardiaci, aumento di peso, depressione. Uno degli elementi chiave individuati dagli studiosi è l’autocontrollo. Chi ha più difficoltà a gestire gli impulsi o a rispettare le proprie intenzioni tende anche a posticipare l’ora di andare a dormire. Ma non è tutto qui. Altri fattori entrano in gioco, come il cronotipo, cioè l’orologio biologico individuale: i cosiddetti gufi, che sono naturalmente più attivi la sera, fanno più fatica a rispettare ritmi sociali mattinieri, e spesso accumulano un debito di sonno. Alcuni studi hanno osservato che donne, giovani e studenti sono più inclini a cadere in questo schema. E non per forza perché mancano di volontà, ma perché vivono giornate troppo piene o con ritmi poco compatibili con i loro bisogni fisiologici. Il problema è che meno dormiamo, meno siamo in grado di resistere alla tentazione di restare svegli. La mancanza di riposo indebolisce la nostra capacità di autoregolazione, creando un vero e proprio circolo vizioso. Secondo ricerche condotte in Europa e in Cina, c’è un legame anche tra bedtime procrastination e sintomi depressivi, specialmente tra gli studenti con uso eccessivo dello smartphone. Eppure, basterebbero piccoli cambiamenti per spezzare questo schema: modificare le routine serali, stabilire regole chiare (niente telefono in camera da letto, spegnere le luci e gli schermi a una certa ora), e dare spazio a relax e piaceri durante il giorno, così da non rincorrerli la sera. In un’epoca che ci vuole sempre connessi, sempre svegli, dormire è un atto rivoluzionario. La scienza lo dice chiaramente: per gli adulti, servono almeno 7-8 ore di sonno a notte. Eppure, milioni di persone dormono meno, con effetti negativi sulla salute mentale, sul rendimento scolastico e lavorativo, sulla qualità della vita. Forse, allora, la domanda non è più “Perché non vai a letto?”, ma: cosa stai cercando nel buio, davanti a uno schermo? E se fosse proprio il sonno, con la sua capacità di riparare corpo e mente, la risposta che stavamo evitando? Spegni lo smartphone. Spegni la luce. E vai a dormire. Il tuo cervello ti ringrazierà.