
Non fa rumore, non si annuncia con squilli di tromba. Ma il virus del Nilo occidentale è tornato. Lo fa ogni anno, in silenzio, approfittando del caldo e delle zanzare. Stavolta, però, ha lasciato un segno più profondo: sette morti in Italia solo nei primi mesi del 2025. E non è un caso. Il virus non è nuovo. È stato scoperto nel 1937 in Uganda, ma oggi ha smesso di essere un “problema esotico”: lo troviamo in Europa, negli Stati Uniti, e ormai da tempo anche in Italia. La trasmissione è semplice quanto inquietante: una zanzara punge un uccello infetto, poi punge noi. E così il virus viaggia, salta da un corpo all’altro, senza confini. Nel nostro Paese, le regioni più colpite sono quelle lungo i fiumi e le zone umide, dove le zanzare trovano l’ambiente perfetto per proliferare. Emilia-Romagna, Veneto, Lombardia. Quest’anno, però, il Lazio e la Campania sono in allarme. A Latina, Caserta, Napoli, Frosinone: i decessi si susseguono, spesso in persone anziane o già fragili. Ma il rischio esiste per tutti. La malattia si presenta come un’influenza: febbre, mal di testa, nausea. Ma in alcuni casi può diventare molto più pericolosa: può colpire il cervello, scatenare encefaliti, convulsioni, perfino il coma. I pazienti più deboli rischiano la vita. Non esiste una cura specifica. Il trattamento è solo di supporto, per tenere in vita chi si ammala gravemente. Per i cavalli, esiste un vaccino. Per noi, resta solo la prevenzione: coprirsi, usare repellenti, evitare zone con acqua stagnante. E pretendere che le amministrazioni facciano la loro parte con disinfestazioni tempestive. Il virus del Nilo non è il nuovo Covid, ma non per questo va sottovalutato. Ogni morte è un monito, ogni estate è una prova. E ogni zanzara, da adesso in poi, non sarà più soltanto fastidiosa: potrebbe essere il tramite di qualcosa di più serio. Ci serve consapevolezza, non panico. Ma serve anche attenzione, cura del territorio, informazione. E una buona dose di responsabilità condivisa.









