Tutto parte dallo studio su due sorelle che hanno avuto la sfortuna di nascere senza il gene PINK1, perché entrambi i loro genitori non avevano una copia del gene critico. Il Pink1 è correlato al Parkin, due operai dell’impianto di riciclaggio neuronale, per usare una metafora. Il loro compito è quello di riciclare i mitocondri che sono i produttori di energia della cellula quando questi sono vecchi e affaticati. Pink1 attiva Parkin per spostare i mitocondri vecchi nella ‘raccolta differenziata’!! La mancanza di Pink1 ha messo le sorelle ad un elevato rischio di sviluppare il Parkinson, ma a una sorella la malattia è stata diagnosticata all’età di 16 anni, mentre all’altra a 48 anni. La ragione della disparità ha portato gli scienziati a fare una nuova e importante scoperta. La sorella che ha ricevuto la diagnosi a 16 anni aveva anche una perdita parziale di Parkin, che da sola non dovrebbe causare il Parkinson. Da qui l’idea che una perdita completa di Parkin può provocare la malattia. Allora perché la sorella con solo una perdita parziale di Parkin ha sviluppato la malattia più di 30 anni prima? Ebbene, gli scienziati hanno capito che Parkin ha un altro importante compito che in precedenza era sconosciuto. Il gene funziona anche in una diversa via nel terminale sinaptico – non correlata al suo lavoro di riciclaggio – dove controlla il rilascio di dopamina. Aver capito cosa sia successo alle due sorelle ha portato gli scienziati della Northwestern a pensare a una nuova opportunità per potenziare Parkin e, potenzialmente, di prevenire la degenerazione dei neuroni dopaminergici. Il Parkinson colpisce l’1% al 2% della popolazione ed è caratterizzato da tremore a riposo, rigidità e bradichinesia (lentezza dei movimenti). Questi sintomi motori sono dovuti alla progressiva perdita di neuroni dopaminergici nel mesencefalo. Le scoperte, che sono state appena pubblicate aprono una nuova strada per lo sviluppo di terapie più efficaci.