
Un trapianto “ponte” che accende nuove speranze. In Cina, un’équipe del First Affiliated Hospital dell’Anhui Medical University ha impiantato in un paziente oncologico una sezione di fegato di maiale geneticamente modificato come innesto ausiliario: l’organo suino ha garantito funzioni epatiche per 38 giorni, consentendo al lobo sinistro nativo di stabilizzarsi e rigenerarsi. I risultati segnano un passo avanti concreto nello xenotrapianto, la frontiera che studia l’uso di organi animali per salvare vite umane. Il caso clinico: il paziente, a rischio di rottura del fegato per un tumore del lobo destro, non avrebbe potuto sopravvivere con il solo lobo sinistro. Per questo i chirurghi hanno scelto la via ausiliaria: lasciare in sede il fegato umano e affiancargli un innesto suino temporaneo. Da subito l’innesto ha secreto bile, sintetizzato albumina, fattori della coagulazione e acidi biliari di origine suina, stabilizzando i parametri vitali. Nel secondo mese sono comparse complicanze immuno-mediate (microangiopatia trombotica), trattate con immunosoppressione e plasmaferesi; al peggiorare dei segnali, i medici hanno rimosso il segmento suino al giorno 38. A quel punto il fegato nativo ha preso il testimone e il paziente è rimasto clinicamente stabile per oltre tre mesi. È deceduto al giorno 171 per emorragia gastrointestinale, evento non correlato al trapianto secondo gli autori. Ma l’intervento dimostra non solo la sopravvivenza a breve termine di un organo xenogenico, anche la sua effettiva funzione metabolica nel corpo umano. È una prova di concetto che si affianca ad altri traguardi recenti: in Cina ad agosto è stato eseguito il primo xenotrapianto di polmone da maiale a essere umano, mentre negli USA la FDA ha autorizzato la prima sperimentazione clinica con rene di maiale e sta valutando la perfusione ex vivo di fegato suino come sistema temporaneo di supporto. In questo scenario, l’innesto ausiliario suggerisce che, in selezionati pazienti, un “ponte biologico” potrebbe traghettare verso un trapianto umano o guadagnare tempo alla rigenerazione del fegato nativo. Esperti indipendenti ricordano che serve più evidenza per quantificare quanto abbia “lavorato” l’innesto suino rispetto al fegato umano e per definire le migliori strategie immunologiche (prevenire la coagulopatia senza alzare il rischio infettivo). Il banco di prova sarà quando lo xenofegato dovrà sostituire totalmente una funzione epatica collassata, mantenendo il paziente fino a un trapianto compatibile. La direzione però è tracciata: genetica del donatore suino, immunosoppressione mirata e modelli “ponte” stanno portando lo xenotrapianto dalla teoria alla pratica clinica. Con un obiettivo ambizioso ma sempre più concreto: ampliare l’accesso ai trapianti e ridurre le liste d’attesa salvando vite che oggi non hanno alternative.









