
C’è una nuova voce che guida gli studiosi tra le pieghe della storia antica. Non è umana, ma parla il linguaggio delle epigrafi romane, conosce le pietre consumate dal tempo, ricostruisce parole perdute, data iscrizioni e ne intuisce l’origine. Si chiama Aeneas, come l’eroe troiano cantato da Virgilio, ed è un modello di intelligenza artificiale che promette di cambiare per sempre lo studio del latino inciso nella pietra. Progettato da un team internazionale di ricercatori e informatici, con la collaborazione della società DeepMind (Google) e di diverse università del Regno Unito e della Grecia, Aeneas è capace di ricostruire parti mancanti di iscrizioni latine, indicarne la provenienza geografica e stimare l’età del testo. Un assistente virtuale al servizio degli epigrafisti, quegli studiosi pazienti che da secoli cercano di ridare voce ai documenti scritti su muri, altari, lapidi. Aeneas è stato addestrato su un enorme archivio: oltre 176.000 iscrizioni latine, raccolte dalle tre più grandi banche dati epigrafiche esistenti. Un patrimonio che va dal VII secolo a.C. all’VIII secolo d.C., attraversando tutta la storia di Roma. Il sistema è dotato di tre reti neurali specializzate: una per completare i testi danneggiati, una per localizzarli geograficamente, un’altra per datarli con precisione. Il vero punto di forza di Aeneas, però, è la sua capacità di confrontare rapidamente migliaia di testi simili, restituendo agli studiosi non solo ipotesi, ma una rete di riferimenti coerenti e contestuali. Un lavoro che, per un ricercatore umano, richiederebbe settimane o addirittura mesi. Per verificare la validità del modello, gli studiosi hanno coinvolto 23 epigrafisti, chiedendo loro di lavorare su iscrizioni incomplete, con e senza l’aiuto del sistema. Il risultato? Da soli, gli studiosi riuscivano a datare le iscrizioni con un margine medio di 31 anni; con l’assistenza di Aeneas, l’errore si riduceva a 14 anni. Il modello, da solo, si è avvicinato ancora di più: 13 anni. Ma la combinazione tra intelligenza umana e artificiale ha prodotto i risultati più precisi e affidabili. Lo stesso è avvenuto con la localizzazione geografica e con il restauro dei testi mancanti: né l’IA né gli studiosi, da soli, hanno raggiunto le performance ottenute insieme. Un segnale chiaro: Aeneas non sostituisce gli esperti, ma ne potenzia le capacità. Secondo gli studiosi, il potenziale di Aeneas è enorme: potrebbe aiutare non solo i ricercatori professionisti, ma anche studenti e appassionati che si avvicinano all’epigrafia. Permette di esplorare più rapidamente la complessa rete di relazioni linguistiche, storiche e culturali che si nasconde dietro ogni incisione. E, cosa importante, non si limita a “indovinare”, come fanno altri strumenti di IA, ma argomenta le sue ipotesi sulla base delle prove disponibili. Non è perfetto, certo: la sua banca dati è molto più piccola rispetto a quelle su cui si basano modelli generalisti come ChatGPT o Copilot, e su iscrizioni molto rare o isolate può risultare meno efficace. Ma dove i dati ci sono, Aeneas lavora con un’intelligenza che ha quasi qualcosa di… umano. Lo hanno messo alla prova anche su testi celebri, come le Res Gestae di Augusto o iscrizioni su antichi altari romani. Ha riconosciuto somiglianze geografiche e stilistiche, notato variazioni ortografiche, escluso falsi indizi come le date menzionate nei testi. In qualche modo, ha “capito” il senso del documento, proprio come farebbe uno storico esperto. Con Aeneas, il passato parla ancora, e forse lo fa anche meglio. Perché la vera innovazione non è solo tecnologica, ma culturale: unire le conoscenze umane e artificiali per restituire alla storia le sue parole perdute.









