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mirko_rocci-684x1024Un progetto che rivoluzionerà le tecniche di calcolo e di misura ma anche la medicina e le telecomunicazioni. Stiamo parlando della batteria a fase quantica. Per noi profani può sembrare una frase di impossibile recezione ma a spiegarlo è Mirko Rocci, il trentottenne aquilano, fisico sperimentale delle materia condensata, esperto di magnetismo in nanostrutture ibride. Dove aver lavorato con un gruppo di ricerca presso il Massachusetts Istituite of Technology di Boston, rientra in Italia e collabora ad un progetto di ricercatori di Cnr-Nano, Scuola Normale Superiore di Pisa, Center-Cfm nei Paesi Baschi e Università di Salerno e lo studio è stato pubblicato proprio in questi giorni sulla prestigiosa rivista scientifica “Nature nanotechnology”. Per Rocci, già vincitore del più prestigioso progetto europeo per giovani ricercatori Marie SkÅ‚odowska-Curie Global Fellowship, “si tratta senza dubbio di una delle scoperte più importanti della mia carriera scientifica. Questo risultato infatti può definirsi una pietra miliare per le nanitecnologia del futuro”. La scoperta della batteria a fasi quantiche, infatti, rappresenterà un importante passo in avanti per la creazione di computer quantistici di nuova concezione che rivoluzionerà radicalmente le nostre vite, già forse a partire dal prossimo decennio.

Si tratta di una super batteria che sfrutta le proprietà dei materiali superconduttori: la tensione che produce corrente è generata non attraverso un effetto chimico, ma sfruttando appunto le proprietà dei materiali superconduttori, che sono caratterizzati da un particolare condensato elettronico capace di trasportare correnti elettriche senza dissipazione di energia.

Un passo concreto, in specifici ambiti applicativi, per il superamento delle normali batterie, evoluzioni della pila di Volta.

L’effetto di sfasamento su cui si basa la batteria a fase quantica è noto e già si pensava di usare questo fenomeno fisico dovuto alla natura ondulatoria della materia, per produrre energia da immettere in circuiti ibridi superconduttori.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CORFINIO – L’ennesimo caso di femminicidio, verificatosi ieri in provincia dell’Aquila dove una ex insegnante è stata uccisa dal marito in seguito ad una discussione scoppiata in casa, suscita l’indignazione e la netta condanna della Consigliera di Parità della Provincia di Teramo Monica Brandiferri.

Per capire la gravità del fenomeno è sufficiente riportare un dato: durante il lockdown si sono verificati ben undici femminicidi in undici settimane. Una carneficina agevolata dal fatto che durante la fase di chiusura totale, da marzo a maggio, molte donne si sono ritrovate da sole con il proprio aguzzino senza poter uscire di casa a cercare aiuto e senza potersi rivolgere ai centri d’ascolto perché sorvegliate dal partner violento. Un quadro che si aggrava di giorno in giorno anche adesso che gradualmente ci si avvia al ritorno alla normalità.

“Il dramma dei femminicidi – afferma la Consigliera di Parità Brandiferri – assume proporzioni sempre più devastanti. Prima della pandemia rimasi molto colpita da un dato: a fine gennaio 2020 cinque donne erano state uccise in due giorni, addirittura sei in una settimana. Una continua escalation di violenza che mette le donne inermi di fronte ad una triste realtà che le vede considerate sottomesse e impotenti di fronte ad orchi, non a uomini. I femminicidi rappresentano tragedie evitabili in quanto sono state emanate normative importanti, ricordiamo che recentemente è stato introdotto il cd. Codice Rosso per contrastare più efficacemente la violenza sulle donne e che il Decreto cura Italia in piena pandemia ha adottato misure rilevanti contro la violenza di genere. Le buone leggi e le buone sentenze sono tra gli strumenti più efficaci per combattere la violenza ma, nonostante di strada in Italia se ne sia fatta tanta, c’è ancora molto da fare, soprattutto in tema di applicazione delle normative di riferimento.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

L’Aquila. Sperimentare nuove soluzioni tecnologiche per accelerare il processo d’innovazione del cicloturismo, corsi e attività di formazione per guide, istruttori, allenatori e quadri della Federazione Ciclistica Italiana.  Campi scuola, eventi amatoriali ed agonistici di diverso livello con soluzioni “sostenibili”; politiche di definizione e diffusione di percorsi e disciplinari con l’obiettivo di realizzare un modello di segnaletica nazionale ed internazionale. Sono questi alcuni degli obiettivi del protocollo d’intesa firmato dal presidente della Federazione Ciclistica Italiana, Renato Di Rocco, e dal presidente di Abruzzo Innovazione Turismo, Dario Colecchi. Una partnership che permetterà di attivare in Abruzzo il Centro Nazionale Federale Pilota per il Cicloturismo. Un laboratorio di competenze e d’innovazione che, dal cuore dell’Appennino, produrrà ricerca e formazione di alto livello non solo per favorire la diffusione della disciplina ciclistica ma anche per sostenere lo sviluppo di offerte turistiche tenendo conto degli elementi di sostenibilità̀ ambientale e della introduzione e diffusione di innovazione di prodotto e di processo.

Un protocollo d’intesa fortemente voluto dalla Federazione Ciclistica Italiana che affianca all’attività olimpica il proprio ruolo di interlocutrice privilegiata sui grandi temi che riguardano la bicicletta: “Si stanno studiando progettualità per avere la reale possibilità di una mobilità sostenibile unita all’attività motoria in bici. Tutto questo è possibile grazie alla sinergia tra più parti: amministratori locali, operatori turistici e sportivi, oltre che associazioni. Ed è questo l’intento condiviso dell’accordo che pone, ancora una volta, la Federciclismo come partner per operare al fianco di operatori ed economie locali che vogliono rilanciare il turismo post-Covid-19, perché, proprio nella difficoltà del momento, credendo maggiormente nel binomio “Bici-Turismo” – afferma il presidente Di Rocco. Un binomio che sta vivendo un momento di grande sviluppo in un contesto di crescita, unito alla necessità di mettere in campo figure altamente professionali: “In quest’ottica, la Federciclismo, attraverso il suo Centro Studi, opera da diversi anni con la formazione di Guide Cicloturistiche Sportive che, grazie al proprio knowhow, accompagnano in sicurezza nella scoperta del territorio”, conclude Di Rocco.

Tra i principali obiettivi che si pone la Federciclismo come partner di Abruzzo Innovazione Turismo, anche la sempre più fondamentale sensibilizzazione alla mobilità sostenibile come valore aggiunto della vocazione turistica e all’aspetto economico-sociale dell’utilizzo della bici; l’aumento della conoscenza dei bisogni legati alla domanda dell’uso della bicicletta per tradurli in servizi oltre all’aumento delle competenze di analisi dei territori anche nell’ambito della tutela ambientale e delle azioni favorevoli al benessere generale per lo sviluppo e completamento delle reti ciclabili provinciali .

Dario Colecchi, presidente di Abruzzo Innovazione Turismo, Polo d’Innovazione del Turismo, sottolinea “La rilevanza assoluta di questo protocollo d’intesa che è unico e lungimirante perché scommette sulla ricerca e sull’innovazione, creando le basi affinché si aprano anche percorsi innovativi per la creazione di proposte promo commerciali, per la gestione condivisa di attività̀ di comunicazione, di presenze presso eventi fieristici e workshop; di educational per utenti specializzati; di partnership commerciali per il cicloturismo.  E’ un’intesa rilevante perché accompagna la nascita del Centro Federale Nazionale Pilota: sarà un laboratorio di sperimentazione a tutti gli effetti e produrrà risultati importanti in grado di accompagnare la crescita di questo segmento turistico soprattutto per le aree interne e montane dell’appennino”.

 

 

 

L’Aquila. Il progetto di acquisizione dell’area di Campo78 diventa realtà. Con l’approvazione in Consiglio comunale dell’accordo di valorizzazione culturale dell’area, presto sarà acquisito al patrimonio del Comune l’ex Campo di Prigionia di “Fonte d’Amore”, oggi di proprietà dell’ Agenzia del Demanio, consentendo, peraltro, di realizzare a breve i lavori per la ristrutturazione della baracca di maggior valore storico.

L’intervento garantirà  la salvaguardia dei preziosi graffiti all’interno, la riqualificazione dell’edificio all’ingresso come sala d’accoglienza e la bonifica dall’amianto, grazie a fondi Fesr il cui intervento ammonta complessivamente a 350 mila euro. Il  progetto verrà approvato dalla Giunta nei prossimi giorni.  L’ opera di riqualificazione di Campo 78 è inserita nel più articolato piano “Lo Spirito d’Abruzzo – Abbazia di Santo Spirito al Morrone di Sulmona”,  per la valorizzazione dei siti di grande interesse storico  e culturale nell’area pedemontana del Morrone, che comprendono anche l’Abbazia e l’area celestiniana dell’Eremo, e consentirà in tempi brevi di poter rendere visitabile e fruibile il sito di grande valore storico.

“Il progetto di valorizzazione culturale, dopo la fase di ristrutturazione vedrà una seconda fase di animazione che coinvolgerà le associazioni culturali del territorio per definire in modo partecipato il piano di gestione.  L’ex Campo di Prigionia è un sito che ha delle enormi potenzialità turistiche, visto l’elevato numero di visitatori, soprattutto stranieri, che conta già oggi, legato alla storia di cui è prezioso documento per l’intero Abruzzo.  L’Amministrazione intende su questo catalizzare altre risorse da Regione e Mibact per completare il recupero dell’area e garantire una piena funzionalizzazione come parco della memoria”, ha  affermato l’assessore alla Cultura e al Turismo Manuela Cozzi.

Secondo il sindaco Annamaria Casini, “si è compiuto un importante passo avanti, atteso da molti, su cui l’Amministrazione sta lavorando sin dal suo insediamento, avvalendosi anche del contributo fattivo di associazioni culturali, che hanno avuto un ruolo fondamentale, come “Una Fondazione per il Morrone”, il “Sentiero della Libertà”, i “Volontari delle Frazioni” ed altre realtà locali, mettendo un decisivo tassello nel complesso intervento di recupero e valorizzazione dei luoghi della memoria di prestigioso interesse storico e culturale, per un rilancio culturale e turistico del territorio. Ringrazio anche gli ex assessori Alessandra Vella e Alessandro Bencivenga per aver fortemente contribuito”.

 

 

Il dibattito sul Parco Sirente Velino è oramai quasi storico, dalla sua istituzione nel lontano 1989 già due volte sono stati ridefiniti i confini, nel 2000 e nel 2011, ma gli effetti della riperimetrazione non hanno portato a migliorarne il funzionamento, e soprattutto, a dare le risposte che il territorio chiede a gran voce: sviluppo, crescita, occupazione.

In un territorio affetto da secoli di isolamento e spopolamento.

Ricordo quando, oramai venticinque anni fa, iniziai a lavorare al Parco, dove da allora vivo con la mia famiglia. Visitando i piccoli centri abitati, che di tanto in tanto si incontrano immersi nei magici luoghi della natura, non erano presenti edicole e per chilometri e chilometri non era possibile acquistare un quotidiano. Oramai queste carenze sono supplite dalla rete anche se, a dirla tutta, la connessione a internet è una fortuna trovarla e bisogna conoscere bene il territorio per sapere da dove è possibile collegarsi o anche solo usare il cellulare.

Sono poche anche le scuole nei 22 comuni del Parco e frequentare le superiori impone agli studenti lunghi viaggi, che d’inverno iniziano a buio, su strade, spesso maltenute, che si snocciolano tra tornati innevati mentre si fa l’alba. Territori marginali, difficili, con pochi abitanti.

Che risposte può dare il Parco? E soprattutto il Parco può dare delle risposte? In questi territori sono tante le carenze, sotto gli occhi di tutti, a cui è necessario dare riscontro ma non è il Parco che può costruire le scuole, aumentare la rete del trasporto pubblico, il servizio sanitario, la copertura della rete e la connessione a internet.

Il Parco è un contenitore, un condensato e un portavoce di valori, uno strumento per la gestione solo se condiviso con le comunità locali.

Wilderness, uso sostenibile, conservazione, reti ecologiche, rappresentano elementi vincenti in un contesto di crescente richiesta di greening ed ecoturismo. Sempre più si sta diffondendo l’idea di ecoturista o turista responsabile che rispetta l’ambiente e la cultura dei luoghi che va a visitare.

Sono biologa ambientale ed il mio lavoro è la biodiversità. Negli anni ho molte volte accompagnato studiosi e ricercatori, che non conoscevano il Parco, a visitare il territorio. Ciò che colpisce un visitatore ed emerge con forza sono i valori della wilderness e della biodiversità, invarianti del territorio, valori significanti e identitari compenetrati agli usi tradizionali ed all’autenticità. Queste aree rispondono ad un immaginario nel quale il mondo selvaggio e le tradizioni sono reciprocamente pervase, come evocato dai racconti dei viaggiatori romantici dell’800, con ambienti montani che conservano una biodiversità a tratti tuttora inesplorata.

 

Questo territorio ben evidenzia come, in Appennino, nelle pratiche di conservazione non vi sia la classica separazione tra natura e cultura ma come queste siano storicamente compenetrate e come la wilderness vi sia conservata insieme con gli usi tradizionali del territorio.

Se la massima wilderness e l’elevata biodiversità sono valori propri dell’Appennino centrale, il territorio del Sirente Velino è un’area significativa per le sue caratteristiche ambientali ed ecologiche e ancor di più per il suo ruolo di connessione ecologica, anche legato alla sua posizione geografica, come documentato da numerosi studi specialistici che hanno individuato nel parco “Un ponte per la natura dell’Appennino”.

Il territorio del Sirente Velino, interessato da cinque Siti Natura 2000, risponde perciò a caratteri unici non solo per la sua wilderness e biodiversità ma anche per il suo ruolo di ponte per la natura dell’Appennino. L’area protetta regionale è dunque un caposaldo della rete ecologica regionale, e non solo, e costituisce un potenziale laboratorio per la sostenibilità.

Seppure rilevanti i punti di forza del territorio, il Parco – dalla sua nascita ad oggi – ha proceduto con passi malfermi anche e soprattutto per una continua difficoltà ad acquisire consapevolezza del suo enorme valore ambientale e quindi ad affermare con forza la rilevanza del suo ruolo strategico per la conservazione. Tante azioni concrete di conservazione sono state realizzate dal Parco con le poche unità di personale sul territorio, anche con il contributo di tanti volontari ogni anno impegnati in censimenti e monitoraggi della fauna, alcune portate avanti con fondi dei Progetti Life anche cofinanziati dalla Regione che però ha, per il resto, dotato il Parco di scarse e talora nulle risorse.

Ho visto negli anni ricostituirsi lentamente gli ecosistemi ed aumentare le popolazioni di specie in via di estinzione conservate nel Parco. Tante azioni concrete per la gestione dei conflitti, per un equilibrio tra le diverse istanze del territorio, per la valorizzazione.

Negli anni il Parco avrebbe maggiormente dovuto voler divulgare i tanti studi condotti e le risultanze che evidenziavano l’enorme ricchezza di valori, naturali e culturali, conservati. Sono state troppo limitate le iniziative di formazione rivolte al territorio, ai residenti, agli amministratori, che avrebbero potuto contribuire a far acquisire maggiore consapevolezza dei valori del territorio e di confrontarsi all’esterno con strumenti aggiornati, spendibili.

Tante realtà locali di giovani artigiani, imprenditori legati al turismo, aziende agricole di produzione e lavorazione di prodotti locali hanno compreso, come anche alcuni amministratori illuminati, che l’offerta green è la via del futuro.

Con gli strumenti di cui il Parco è stato finora dotato ciò che era possibile fare è stato fatto. Per migliorarne l’operato, se è ciò che si vuole davvero, occorre oggi un punto di svolta. Per far funzionare il Parco è necessaria una visione condivisa con le comunità locali, un progetto comune. E’ necessaria una regia regionale convinta dei valori propri del Parco e che, di conseguenza, ne accordi saggia tutela, che investa sull’unico Parco regionale abruzzese, che lo integri in una visione strategica di ponte per la natura dell’Appennino, che lo qualifichi come laboratorio per la sostenibilità, che lo individui come riferimento regionale per una “Scuola del territorio delle aree protette e dell’ambiente”.

*Paola Morini, biologa

Ufficio Scientifico Naturalistico-Ente Parco Regionale Sirente Velino

 

Ultima modifica il Lunedì, 29 Giugno 2020 14:42

Pubblicato in  Cultura e Società

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