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Un tempo fulcro del rapporto diretto tra gli “ortolani” di Avezzano, quelli che coltivavano verdure e ortaggi a Strada 2 e 3, che sin dal mattino presto rendevano disponibili prodotti freschi di filiera cortissima, oggi Piazza del Mercato è un luogo marginale che si tende a riportare agli splendori del passato anche riconvertendone e integrandone la destinazione d’uso. I luoghi e la memoria appartengono a tutti e i cittadini amano ciò che li ha visti crescere e formare nel corso della propria vita; ciò che invecchia va curato di più e meglio garantendone il cosiddetto “riuso”. Tutto può essere trasformato e innovato: basta vedere come Avezzano è rinata dopo il terremoto del 1915 e dopo i bombardamenti della seconda guerra mondiale. Ma i luoghi della memoria non vanno distrutti. Ben vengano i progetti innovativi che tendono al miglioramento del patrimonio urbanistico esistente e alla salvaguardia dell’ambiente. Ma non sempre la tecnologia si sposa con la cultura e con la memoria perché spesso le trasformazioni fanno male al cuore. La Città ha bisogno di rinnovarsi trasformandosi davvero in qualcosa di altro? Preoccupa l’abbattimento seriale della flora autoctona in Piazza Risorgimento, Piazza del Mercato, Parco del Castello Orsini: l’ascia e la motosega non danno tregua agli alberi, amici di sempre e ristoro. Si dovrebbe fare come in Sri Lanca, il cui governo ha deciso di adottare misure radicali per lottare contro la deforestazione vietando le motoseghe e chiudendo le segherie: ai boscaioli sono stati concessi cinque anni per cambiare mestiere. Ben vengano i progetti per rendere più bella Avezzano, a patto che si abbandoni la cultura della motosega.

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