banner
banner

SULMONA – Salvo lo stipendio base ma a rischio straordinari e reperibilità. L’effetto dell’attacco hacker sui server della Asl 1 comincia a farsi sentire anche per i sanitari in servizio. Se n’è parlato l’altro giorno, nell’ospedale di Sulmona, quando la Direzione sanitaria ha incontrato alcuni operatori per spiegare la situazione. Il timore è legato al fatto che l’accredito delle mensilità possa essere in qualche modo legato ai terminali e alla gestione informatica dei dati. Dalle verifiche si è appreso che l’erogazione dello stipendio base dovrebbe avvenire senza alcuna problematica. A saltare dovrebbero essere gli straordinari svolti e il riconoscimento delle reperibilità, almeno per il corrente mese, sempre che il disservizio persista. Stando alle previsione è molto probabile che ci vorranno settimane per risolvere il blocco informatico. Una situazione che mette in affanno reparti e ambulatori di tutta la provincia che in questi giorni stanno lavorando utilizzando carta e penna, persino il fax. Il caos informatico è stato provocato da un gruppo di cybercriminali riconducibile al cosiddetto “Gruppo Monti” che avrebbe trafugato materiale per centinaia di gigabyte. Con esattezza, il Centro elaborazione dati della Asl non è in grado di stabilire quanti e quali dati siano stati oggetto di hackeraggio. Una task force è al lavoro nel tentativo di cercare di far fronte al blocco totale ai sistemi mentre, al contempo, si cercano di garantire servizi essenziali come terapie e ricoveri a partire dai soggetti più a rischio. L’attività del laboratorio analisi è ridotta sensibilmente e il centro trasfusionale ha difficoltà a processare le informazioni relative alle sacche di sangue. Gli hacker ora avrebbero cominciato a minacciare anche i dipendenti. Il sistema antivirus della Asl era stato aggiornato un anno fa. “Si è trattato di un attacco di tipo ‘ransomware’ – spiega Walter Tiberti, ricercatore del Dipartimento di Ingegneria e Scienze dell’Informazione e Matematica (Disim) all’Università dell’Aquila -. In altre parole, abbiamo a che fare con un sistema in grado di entrare nei dispositivi criptando i dati per poi poter chiedere un riscatto per decriptare le informazioni”. In altri casi, i dati vengono sottratti e spariscono dai server attaccati. “Il problema – prosegue Tiberti – che anche pagando il riscatto non si ha garanzia del ripristino delle informazioni. In maniera preventiva andrebbero fatte diverse operazioni di backup, se non sono state fatte prima adesso è già tardi”. Anche un backup non impedisce agli hacker di divulgare dati sensibili dei pazienti, come ecografie e positività da virus come Hiv. Molto difficile secondo il ricercatore, “risalire alla ricerca dell’identità dei responsabili. Siamo nell’era di Chat Gpt ed è possibile cambiare indirizzo Ip in pochi istanti, così come generare immagini con intelligenza artificiale – sottolinea – sul web è molto difficile fare discernimento tra un’informazione vera o falsa. Si può solo fare prevenzione contro il cyber-crimine, ma la realtà è ben complicata”.

Lascia un commento