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“È una posizione burocratica, di difesa, dicono che mi hanno aiutato fin all’inizio, ma non è vero, sono stata lasciata sola: sono offesa dalla risposta del governo all’interrogazione parlamentare presentata da Pezzopane, Boldrini e altre deputate”. Parte dalla replica alle argomentazioni formulate sul suo caso dal Governo italiano, in particolare il ministero degli Affari esteri, il racconto della cooperante aquilana Sabrina Prioli. Nel 2016 è stata rapita, violentata, subendo anche un tentativo di soffocamento con il Ddt, in Sud Sudan dove lavorava. Un dramma che continua a vivere visto che, dice, non è stata sostenuta dopo il grave fatto e assistita nella battaglia legale contro i suoi aguzzini, processo che ha portato alla condanna di 5 soldati e al risarcimento a suo favore di 4mila dollari a fonte dei 2,5 milioni per l’organizzazione americana per la quale lavorava. Un caso denunciato in un’interrogazione dalle deputate Pd Stefania Pezzopane e Laura Boldrini, insieme ad altre colleghe, con risposta definita dalle stesse insoddisfacente. La 49enne aquilana ora è in Zambia, tornerà all’Aquila a fine mese. “Continuo a combattere per la riparazione a nome di tutte le donne che hanno subito un crimine del genere 4mila dollari come riparazione è un’ulteriore violenza: sono in cura, ho ricevuto cure fisiche, psicologiche e psichiatriche, ho perso il mio lavoro, chi mi ridà indietro tutti gli anni? E’ come se fossi morta, non ho potuto provvedere economicamente per anni al sostentamento economico di mia figlia, non avendo potuto lavorare perché non ero in grado, quindi ho dovuto fare uno sforzo incredibile. Senza nessun aiuto economico e avendo perso il lavoro, mi sono dovuta reinventare: ho avuto anche spese mediche non indifferenti, quindi il risarcimento è giustissimo, una donna deve essere risarcita per gli anni di lavoro perso, ma anche in relazione alle possibilità future precluse. Questi signori pensano che con 4mila dollari se la siano cavata – chiarisce – E’ una ulteriore offesa, oltre che vergognoso, il mancato appoggio della diplomazia italiana”.

“La mia è una vicenda tristissima, sono veramente stanca di combattere da sola la battaglia legale per la quale sono ritornata a Juba per testimoniare credendo nella giustizia – spiega ancora la cooperante -. Ma purtroppo senza appoggio diplomatico, il file del processo è andato perso perché nessuno ha seguito e tutelato il mio caso, in primis le istituzioni e la diplomazia italiana che dovevano essere al mio fianco in quanto ero stata l’unica vittima a ritornare a Juba a testimoniare in Corte marziale. I soldati sono stati condannati, ma la riparazione non può essere 4mila dollari per una donna che ha sofferto cinque violenze sessuali, per una donna che è stata duramente percossa, per una donna che è stata anche torturata – continua -. Non è giusto che io sia stata lasciata sola, penso non sia giusto non avere mai avuto una risposta dal ministero degli Affari Esteri, non avere mai avuto appoggio legale, un’assistenza medica: non penso che un crimine come la violenza sessuale sia da considerarsi di serie neanche b, c, d o e, è un crimine che non viene considerato perché una ferita che è nascosta dentro. Essere lasciata sola è una rivittimizzazione più grande, è come non riconoscere il crimine, come se venisse sminuito il fatto che io abbia ricevuto una violenza del genere”. “Ci sono convenzioni che tutelano i miei diritti, ci sono leggi europee per la difesa dei cittadini che hanno subito violenza, che hanno subito tortura, quindi – continua la 49enne -, ho tutto il diritto di essere ascoltata e di essere ricevuta, più che altro di ricevere una risposta dalle istituzioni, sono una cittadina a cui sono stati violati i diritti, una cittadina che non si è potuta neanche appellare in un processo e a un verdetto ridicolo. Speravo l’interrogazione potesse smuovere qualcosa. Ora sono sfiduciata, sono convinta che sola ero e sola rimarrò”.

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