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PRATOLA PELIGNA- La Procura della Repubblica di Sulmona ha aperto un fascicolo d’inchiesta contro ignoti sul rogo che sta devastando il Monte Morrone per la seconda volta nel giro di sei anni. La nuova inchiesta è scattata dopo i primi rilievi svolti dai Carabinieri Forestali che hanno individuato il punto d’innesco dell’incendio nei pressi dell’ex cava di Bagnaturo. I militari stanno inoltre cercando eventuali fototrappole collocate nella zona per ricostruire tutti i movimenti delle auto e delle persone nelle ultime ore sul bacino della zona pedemontana. Ma l’operazione si annuncia abbastanza complicata. Un sopralluogo è stato comunque effettuato sul posto dal Procuratore Capo della Repubblica, Luciano D’Angelo e dal Sostituto, Edoardo Mariotti. La “replica” dell’incendio sulla sacra montagna ha già prodotto un bilancio devastante. Secondo il Parco Nazionale della Majella sarebbero almeno 500 gli ettari di bosco distrutti dalle fiamme nel solo pomeriggio di ieri. Il rogo, che si estende per circa 2,5 km, ha raggiunto il rifugio del Colle delle Vacche e il sentiero del Colle delle Fate. Per il momento un solo elicottero è stato impiegato per gli sganci d’acqua. Il mezzo ha operato fino alle 20 di ieri sera e ha effettuato circa venti sganci. In mattinata riprenderà le operazioni alle sei. Alle 8.30 circa arriverà probabilmente l’Erikson. Si spera anche nei Canadair, finora impiegati per l’emergenza in Sicilia. Sul territorio sono stati individuati due punti per il rifornimento di acqua. Al momento sono circa 50 le squadre al lavoro tra Vigili del Fuoco, Protezione Civile e unità specifiche del Parco più le forze dell’ordine che stanno presidiando il territorio e per tutta la notte assicurano vigilanza nella zone sensibili. Per le abitazioni è scattata la messa in sicurezza tramite mezzi agricoli. Chiuse due strade per ragioni di ordine pubblico. Ai curiosi è raccomandato di non intralciare le operazioni degli addetti ai lavori. La notte da riemergere le ferite della sacra montagna, ancora una volta messa a dura prova probabilmente dalla crudeltà umana ma anche da un sistema di protezione da rivedere. È una ferita che si riparte e che brucia visto l’attaccamento viscerale e ancestrale del popolo peligno alla sua montagna.

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