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L’AQUILA – Tensione crescente nel Nord Kivu, nella Repubblica democratica del Congo, area dove si concentrano le missioni umanitarie del professor Francesco Barone, docente del Dipartimento di scienze umane dell’Università dell’Aquila originario di Bussi sul Tirino. Nel giorno di capodanno, Barone invita a non dimenticare chi sta vivendo una vera è propria tragedia umanitaria, per una guerra lontana dagli occhi, lontana dal cuore. “Lavoriamo in condizioni proibitive – dice dalla base operativa della sua 57esima missione umanitaria, tutte svolte prevalentemente nell’Africa sud-Sahariana – Si stimano oltre 400mila sfollati fuggiti da Rutshuru e dalle zone limitrofe e riversati lungo la strada che congiunge Rutshuru a Goma. Una storia che si ripete, fatta di violenze, stupri, saccheggi e uccisioni da parte del gruppo ribelle M23”.E si accalora, “ho visto migliaia di bambini, donne e uomini, accampati in posti di fortuna – spiega dopo aver visitato alcuni accampamenti lungo la strada -. Nei campi che ho visitato manca cibo, acqua potabile, medicine e coperte. Le condizioni igienico-sanitarie sono disastrose, com’è facile immaginare”. Una guerra, quella del Congo, che dura da sessant’anni e ha già fatto dodici milioni di morti. E tutto questo per l’immensa ricchezza mineraria del Congo che è diventata la sua maledizione. In quel Paese, infatti, ci sono i minerali essenziali per l’high-tech come il coltan (80% della produzione mondiale), il cobalto, il litio, (e molti altri) che sono elementi fondamentali per i nostri telefonini, per le pile elettriche delle nostre auto. Tutti questi minerali, frutto, spesso, del lavoro dei bambini, non passano per Kinshasa (la capitale del Congo), ma vengono trasferiti illegalmente in Uganda e in Rwanda, per entrare poi nel circuito internazionale. A guadagnarci è soprattutto l’Occidente e le multinazionali, ma a perderci è il Congo, classificato come il terzo paese più povero del mondo. La maledizione del “gigante” dell’Africa è la sua ricchezza mineraria. Ecco perché il Ruanda sta facendo la guerra al Congo per annettere le confinanti province dell’Ituri e del Nord Kivu, ricche di questi minerali. Lo fa oggi tramite il Movimento 23 marzo (M23) che sta avanzando verso Goma, il capoluogo del Nord- Est. (Oltre al M23 ci sono altri gruppi che incutono terrore come il Maj-Maj e le Forze Democratiche Alleate). Il movimento M23, costituito in buona parte da guerriglieri Tutsi, lascia dietro a sé una scia di sangue e di orrore: stupri come arma di guerra, neonati uccisi e pestati in mortai di legno, donne incinte sventrate e altri atti ancora più orribili. A fronteggiare questa spaventosa situazione c’è l’Esercito Congolese e la missione ONU per la stabilizzazione del Congo, nota come Monusco, forte di 15.000 soldati, ma incapace di assicurare una protezione alla popolazione. Ma nel Nord-est del Congo ci sono oggi anche soldati dell’Uganda, del Burundi e del Sud Sudan. Non solo, ora anche il Kenya ha inviato, in nome della comunità dell’Africa Orientale, 900 soldati kenian Racconta Barone: “Abbiamo iniziato con la consegna di cibo, medicine, tende da campo, biscotti e caramelle per i bambini. Ho constatato, comunque, la presenza di organizzazioni umanitarie che stanno facendo tutto il possibile per alleviare le grandi sofferenze di chi vive in condizioni davvero drammatiche. Non si può, infatti, restare indifferenti. Non si può continuare a sottovalutare questa delicata situazione che potrebbe portare a esiti più drammatici”.
Di recente a Barone è stato assegnato un riconoscimento da Goma, da parte dell’Assemblea del Nord Kivu, nella persona del presidente Robert Seninga, per l’impegno delle missioni umanitarie che non si sono interrotte neanche nei periodi di conflitto.

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