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SULMONA – Minacciò di morte l’ispettore di Polizia e ostacolò l’attività investigativa lasciando di “guardia” i cani nel giardino. Per il reato di resistenza a pubblico ufficiale è arrivata la condanna a sei mesi di reclusione per G.B., 46 enne di Introdacqua, già noto alle forze dell’ordine.  I fatti risalgono al 28 febbraio 2015. La Squadra Anticrimine del Commissariato, coordinata all’epoca dall’ispettore superiore Daniele L’Erario, si recò a casa dell’imputato per verificare se il presunto aggressore di una giovane che aveva sporto denuncia alla Polizia, si nascondeva a casa del 45 enne. Gli uomini dell’Anticrimine avevano infatti ricevuto una soffiata su una presenza abituale, nel quartiere dove ricade la casa dell’imputato, del soggetto in questione. Quando i poliziotti si recarono a casa del pregiudicato di Introdacqua, si scatenò il putiferio. Trovarono innanzitutto il suo cane, un pastore abruzzese di grossa taglia, che ostruiva il passaggio. Gli uomini dell’Anticrimine a quel punto invitarono più volte il 45 enne a legare l’animale e allontanarlo. L’imputato, colto di sorpresa per la “visita” della Polizia in borghese alle otto del mattino, dopo aver chiesto informazioni sull’attività in corso, passò alle minacce. “L’Erario come ti sei permesso a venire a casa mia a quest’ora? Questa mattina hai proprio sbagliato. Prova a fare un altro passo e vedi cosa ti succede. Tu non sei nessuno. Andiamo in bagno io e te vediamo che cosa ti faccio. Pensi che sono come tutti gli altri? So dove trovarti e quello che fai. Io ti faccio”- esordì il 45 enne rivolto all’ispettore. Alla fine gli uomini dell’Anticrimine riuscirono ad accedere a casa dell’imputato, una volta che quest’ultimo capì il tipo di attività che si stava svolgendo. E’ scattata in ogni caso la denuncia che ha portato oggi il giudice a pronunciare la sentenza di condanna a sei mesi di reclusione e al pagamento  delle spese processuali. L’avvocato difensore, Silvia Iafolla, aveva spiegato che il suo assistito nulla sapeva dell’attività della Polizia e la stessa non avrebbe motivato l’intervento sul posto in un primo momento. Peraltro, secondo la difesa, gli stessi investigatori effettuarono regolarmente l’attività in questione, senza impedimento alcuno. Una tesi che non è bastata al 46 enne pregiudicato per evitare un’altra condanna.
Andrea D’Aurelio

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