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Qualche pennacchio di fiamme è visibile ad occhio nudo dal momento che la notte mostra le ferite della sacra montagna, messa a dura prova dalle fiamme per la seconda volta nel giro di sei anni. Il Morrone torna ad essere l’osservato speciale. La popolazione non distoglie lo sguardo perché quella montagna è il simbolo di una comunità che si riconosce, di una identità di cui andare fieri. Per questo, in attesa di tornare sul fronte con la terza giornata di lavoro e le nostre continue dirette sul posto, pubblichiamo la poesia della pratolana, Elisabetta Liberatore, partorita ed elaborata proprio lo scorso 25 luglio quando la montagna tornava a bruciare come sei anni prima.

“Non capisco
questa tua voglia di cenere,
questo tuo votarti al nero
che non è una promessa,
la paternità tradita
in una guerra di fiamme
che non mi aspetto,
perché il Morrone
era negli occhi
accanto ai vagiti
di quando eri in fasce,
è sempre stato una fede
per noi che sappiamo danzare
dentro i suoi larghi silenzi.
Non capisco
questa sentenza di morte
sulle fronde dei pini e dei lecci,
il sangue dei boschi che gronda
e infiamma i versanti.
Non capisco la morte
che ti respira negli occhi.
Anche la sera ha una strana luce,
esterrefatta, che non ti capisce

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