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SULMONA – Da eroi a dimenticati è un attimo. Che la pandemia ha cambiato il volto della sanità, dentro e fuori gli ospedali, è cosa ormai risaputa. Ma che l’affanno per evitare il contagio debba trasformarsi nell’ansia da prestazione, legata alla cronica carenza di personale, è inaccettabile. Eppure gli organici sono ridotti al lumicino. Nel nosocomio peligno il doppler continua ad essere eseguito solo per i degenti. Mancano i medici e le prestazioni, per gli utenti esterni, non sono più prenotabili al Cup ormai da tempo. Gli addetti ai lavori hanno tentato di riaprire le agende che si sono riempite nel giro di una giornata. Per cui bisogna ricoverarsi per sottoporsi all’esame oppure, come avviene del resto anche per la reumatologia, si devono macinare chilometri per raggiungere altri nosocomi con tutte le conseguenze del caso per i soggetti più fragili. Tra spese per la prestazione, viaggio tra un ospedale e un altro per lo svolgimento dell’esame e un’ulteriore spola per ritirare il referto, nell’epoca del caro la sanità e’ solo dei più abbienti. Inutile nascondersi dietro ad un dito. Inoltre le problematiche gestionali ed organizzative non sono affatto cessate. Dopo gli applausi per l’inaugurazione del nuovo pre triage, avvenuta nel 2021 ad un anno e mezzo dalla scoppio della pandemia, si registra ancora l’assenza di un’area di sosta per gli utenti che necessitano di una prestazione di pronto soccorso e devono sottoporsi al test. Bambini con la febbre e anziani con i dolori costretti, fatta eccezione dei casi più gravi, a sostare sotto il sole o il freddo durante le operazioni di pre triage. Un vulnus inaccettabile a quasi tre anni dall’inizio della pandemia che ha spinto Catia Puglielli, coordinatrice del Tribunale per i Diritti del Malato, a chiedere un intervento incisivo alla Asl per la risoluzione di una problematica assurda. D’altronde in ospedale l’utente va per curarsi e non per ammalarsi nelle more della presa in carico.

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