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SULMONA – Sono otto e hanno dovuto fare le “valigie” da un momento all’altro. D’altronde si sa che la Asl è unica e chi viene reclutato risponde alle esigenze aziendali. Ma loro ora chiedono di essere ascoltati e di rientrare in ospedale. Non sono giornate facili per gli infermieri che da Sulmona fanno la spola tutti i giorni per l’ospedale di Avezzano per dare manforte al sistema. Stanno cercando casa, con il pensiero fisso verso l’ospedale di Sulmona, che pure ha bisogno di forze umane per affrontare l’emergenza. A molti l’avviso Asl per il ricorso agli interinali è sembrato letteralmente un paradosso. Prima i trasferimenti da Sulmona ad Avezzano e poi il reclutamento di infermieri del nosocomio peligno, dietro esplicita sollecitazione del Tribunale della sanità, che più delle istituzioni resta in prima linea. Perché non ci si può svegliare la mattina e parlare di sanità e ospedale. Se non si entra nel cuore dei problemi. “A fronte della richiesta di personale infermieristico da destinare all’ospedale di Sulmona e anche al fine di evitare il rischio di diffusione del contagio ho richiesto alla Asl di valutare di reintegrare a Sulmona gli otto operatori sanitari trasferiti ad Avezzano a seguito dell’accorpamento di due reparti. Non è possibile infatti che questi operatori sanitari debbano viaggiare ogni giorno per raggiungere il nosocomio di Avezzano quando c’è necessità di personale proprio all’ospedale di Sulmona”- interviene Catia Puglielli dal Tribunale della sanità. L’ordine di servizio dalla Asl è partito lo scorso 1 novembre. Gli otto infermieri hanno preso quindi servizio ad Avezzano ed è facile comprendere la logica aziendale. La Asl infatti sicuramente avrà puntato sulla formazione e l’esperienza per selezionare il personale che è in grado sin da subito di fronteggiare un’emergenza. Resta il fatto che per addetti ai lavori e non solo “svuotare” e rifornire di personale il nosocomio non ha molto senso, soprattutto alla luce degli ultimi accadimenti che mostrano un ospedale in sofferenza per l’area triage dove i pazienti stazionano fino a tre giorni in attesa di ricovero. Forse sarebbe stato il caso di puntare su una diversa classificazione dell’ospedale per avere oggi una zona Covid attrezzata con personale dedicato? Le scelte si fanno e le conseguenze si affrontano. Questo è il primo passo per formulare nuove richieste.

Andrea D’Aurelio

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