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PRATOLA PELIGNA – L’oggetto del contendere per anni è stato quel varco aperto in un locale destinato ad autorimessa. La lunga e curiosa vicenda dei lavori realizzati da due pratolani in un immobile sito nel centro storico della cittadina peligna è finita davanti al Tribunale Regionale dell’Abruzzo che, nei giorni scorsi,  ha respinto il ricorso presentato dalla vicina di casa contro il Comune di Pratola Peligna che ha rilasciato il permesso a costruire e nei confronti dei due residenti del quartiere che hanno realizzato l’intervento finito sotto la lente della giustizia. Per il Tar ha ragione il Comune e le istanze della parte ricorrente sono infondate. Un “contenzioso” tutto paesano che assurge agli onori delle cronache proprio per l’originalità e la curiosità dell vicenda. Ma andiamo con ordine. Tutto comincia nel lontano 4 aprile 2001 quando ai due pratolani viene rilasciato il permesso a  ristrutturare con una integrazione successiva nel 2004 che portava alla apertura di un nuovo varco di accesso al locale privato. Gli interventi di ristrutturazione del fabbricato civile di abitazione vengono ultimati nel 2005 e nel 2011, dopo le prime schermaglie legali, è iniziata la battaglia giudiziaria della parte ricorrente, la vicina di casa, che sosteneva che l’apertura del varco era stata eseguita in spregio alla normativa edilizia di riferimento e al piano regolatore vigente per la disciplina degli interventi nel centro storico. Scattò quindi una formale diffida nei confronti del Comune che nel 2012 emise il provvedimento di diniego rispetto  le ragioni sostenute dalla donna. Da qui il ricorso depositato presso il Tar Abruzzo che, lo scorso 17 settembre, ha dato ragione al Comune, rigettando l’istanza della pratolana. Per i giudici amministrativi “non può non rilevarsi la sufficienza istruttoria e l’adeguatezza motivazionale dell’atto impugnato, con conseguente infondatezza delle censure proposte”. Sostanzialmente per il Tar  non sussiste l’elemento dell’interesse pubblico e del termine ragionevole tan’è che le “deduzioni risultano tardive e inammissibili”. Una storia sui generis, tutta legata alla vita di quartiere, che si chiude davanti al Tar con il rigetto del ricorso e le spese compensate. Salvo un secondo atto presso il Consiglio di Stato.

Andrea D’Aurelio

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