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PRATOLA PELIGNA – “Non siamo criminali”. Così gli undici agenti della polizia stradale di Pratola Peligna si difendono all’indomani delle perquisizioni a tappeto, disposte dalla procura, per l’atto intimidatorio nei confronti dell’ex comandante, Luciano Bernardi e il suo braccio destro, Attilio Di Loreto. I poliziotti, che sono indagati per minaccia come atto dovuto, respingono le accuse tramite i propri legali. “Noi difensori rileviamo la mancanza di seppur minimi indizi di colpevolezza dei nostri assistiti, in merito ai fatti denunciati. Ciò rende, a nostro parere, emesso al di fuori dei casi previsti dalla legge il decreto della pubblica accusa. Ciò, ovviamente, tenteremo di dimostrare avvalendoci dei mezzi processuali previsti dal codice di rito, anche valorizzando aspetti poco credibili della vicenda”- incalzano gli avvocati Vincenzo Margiotta e Luigi Di Loreto rimarcando che “gll iindagati si difenderanno, ovviamente, nelle sedi
competenti, dove la verità verrà accertata, ma fino ad allora bisognerà fidarsi della giustizia e ritenere che ogni cittadino, ed in particolare un rappresentante delle forze di polizia, è innocente fino al passaggio in giudicato di una sentenza di condanna”. Il nuovo filone d’inchiesta è scaturito dalla denuncia contro ignoti di Berardi e Di Loreto che la mattina del 16 aprile avevano trovato, nella cassetta della posta, un proiettile in una busta bianca chiusa senza francobollo. L’analisi del piombo ha fatto emergere che si tratta di un proiettile che viene usato esclusivamente dalle forze di polizia. La procura ha quindi ipotizzato un’intimidazione nei confronti di coloro che avevano condotto le indagini sui “sonnellini di pattuglia”. Intimidazioni, secondo l’accusa, finalizzate a generare timore sulla futura deposizione nel corso del processo che, tuttavia, non è stato ancora chiesto che se, per i fatti che vanno dal 2019 al 2022, la procura aveva chiuso le indagini per gli undici accusati a vario titolo di truffa e falso, furto, peculato, omissioni di atti d’ufficio, omissione di soccorso e interruzione di pubblico servizio. Tre anni d’indagini, tramite intercettazioni ambientali e telefoniche, che avevano fatto emergere il “sonno” degli indagati durante l’orario di lavoro. Erano stati tutti sospesi dal tribunale, poi riammessi in servizio dal Riesame. Ora la nuova grana della minaccia

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