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NAPOLI – C’era un vero e proprio tariffario da parte di un ‘servicè a disposizione della criminalità per fare entrare
droga e telefonini nelle carceri, e in un caso anche un’arma. Mille euro per uno smartphone, 250 per un telefonino tradizionale e fino a 7000 euro per mezzo chilo di stupefacente. È quanto disvelato da una doppia inchiesta della Dda di Napoli che nella mattinata di oggi ha portato all’esecuzione di 32 misure cautelari. Gli episodi accertati dalla magistratura riguardano 19 penitenziari italiani, dal Piemonte alla Sicilia fino a Sulmona dove lo scorso anno fu arrestato un poliziotto penitenziario di 53 anni, accusato di aver introdotto tre micro cellulari destinati ai detenuti. L’inchiesta della procura di Sulmona era legata al sparatoria di Frosinone poiché il detenuto protagonista fu poi trasferito nel penitenziario peligno. Dalle indagini della Dda di Napoli è emerso che il rifornimento sarebbe avvenuto con l’utilizzo di droni che un tecnico avrebbe provveduto a truccare, non solo per trasportare un peso maggiore a quello consentito ma anche per bucare le flay zone , come quelle dove sono i penitenziari. E la regia dell’affare sarebbe stata della criminalità campana. Un fiume di denaro che sarebbe circolato attraverso un sistema di triangolazione. Ma il fenomeno dell’uso di telefonini, ha sottolineato il procuratore di Napoli, Nicola Gratteri, c’è in tantissimi penitenziari italiani e potrebbe essere debellato con l’installazione di disturbatori di frequenze, il cui costo non è eccessivo. Si potrebbe iniziare, ha suggerito Gratteri, proprio dagli istituti più grandi e dove ci sono sezioni di massima sicurezza. Sulmona è uno di questi dove si sta cercando di mettere in piedi il sistema di “isolamento”

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