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SULMONA – “Ricorriamo in appello. È assurda l’ipotesi dello ‘stato di necessità‘ se si spara alla schiena di un animale in fuga”. La prima a reagire alla sentenza di assoluzione pronunciata ieri dal giudice Marco Billi, sul caso dell’orso ucciso a Pettorano, è la Lega Anti Vivisezione (Lav) convinta che “questa assoluzione non scalfisce il principio per cui la giustizia ‘fai da te’ non è ammissibile in nessun caso e che l’uccisione di un animale particolarmente protetto, anche a livello europeo dalla direttiva habitat, come l’orso, costituisce un vero e proprio atto di bracconaggio”. Sulla stessa lunghezza d’onda il Parco Nazionale d’Abruzzo Lazio e Molise. “Le sentenze – afferma il Parco – vanno rispettate e sicuramente non è nostra intenzione derogare da questa regola. Il Parco, che si è costituito parte civile nel processo, valuterà le motivazioni della sentenza e deciderà se ricorrono i presupposti per proporre appello”. Con questa sentenza, dice il Parco, “c’è un evidente rischio di compiere la generalizzazione secondo la quale uccidere un orso non è un reato”. Si tratta invece di una “sentenza a dir poco discutibile” per il Movimento Animalista secondo il quale “conservare un animale a rischio estinzione vuole dire anche assicurare la certezza della pena. Chi si macchia di crimini così aberranti – affermano dal movimento – ne deve rispondere ai sensi di legge. Di questa specie ne sono rimasti poco più di 50 esemplari esclusivamente nel Parco Nazionale d’Abruzzo e in alcune aree protette limitrofe tra Abruzzo, Lazio e Molise”. Una sentenza che, da più fronti, continua a far discutere.

Andrea D’Aurelio

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