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Il 18 maggio del 1978 veniva firmata la legge 194 che consente alla donna, nei casi previsti dalla legge, di ricorrere alla IVG in una struttura pubblica (ospedale o poliambulatorio convenzionato con la Regione di appartenenza), nei primi 90 giorni di gestazione; tra il quarto e quinto mese è possibile ricorrere alla IVG solo per motivi di natura terapeutica. Le minori e le donne interdette devono ricevere l’autorizzazione del tutore o del giudice tutelare per poter effettuare la IVG. La legge stabilisce che le generalità della donna rimangano anonime e che “il medico che esegue l’interruzione della gravidanza è tenuto a fornire alla donna le informazioni e le indicazioni sulla regolazione delle nascite” (art. 14). Il ginecologo può esercitare l’obiezione di coscienza. Tuttavia, il personale sanitario non può sollevare obiezione di coscienza allorquando l’intervento sia “indispensabile per salvare la vita della donna in imminente pericolo” (art. 9, comma 5). Recentemente ha fatto molto discutere la proposta di legge presentata dalla destra sul riconoscimento giuridico del concepito come componente del nucleo familiare e sull’istituzione della Giornata della vita nascente. La legge 194 sicuramente si considera come una Legge importante perché ha sancito un cambiamento culturale veramente importante sul tema della sessualità e dell’autodeterminazione in merito alle scelte procreative delle donne, ma in realtà non riconosce il diritto di abortire come diritto poichè subordinato alle determinazioni descritte, il diritto delle donne di scegliere in maniera autonoma rispetto alla propria vita sessuale e riproduttiva. L’aborto dovrebbe essere spostato dall’ambito morale, etico, religioso al piano dell’assistenza medica e del diritto delle donne, poiché si tratta di un servizio medico. Una legge non perfetta, ma degna di un paese civile. Ma in Italia si è davvero libere di abortire?

Le questioni problematiche sono sostanzialmente tre:

  1. l’aumento, nel corso dei decenni dell’istituto dell’obiezione di coscienza a livelli non tollerabili per il sistema apportando problemi alle strutture e difficoltà di accesso alle procedure abortive;
  2. la persistenza di sacche consistenti di aborto clandestino legate all’ingresso di donne migranti.

Oggi, è permesso accedere all’utilizzo della ‘pillola abortiva’ fino alle 9 settimane e in regime ambulatoriale senza alcun obbligo di ricovero. La recente modifica delle linee guida non è però ancora stata recepita dalla maggior parte delle regioni, tranne che nel caso del Lazio e della Toscana. Il dibattito alimentato durante il lockdown del 2020 ha riguardato soprattutto la possibilità di facilitare l’accesso all’aborto farmacologico. L’emergenza sanitaria ha contribuito ad ampliare le disuguaglianze tra le varie aree del paese, tanto che “in alcuni casi è stata indicata dalle Regioni l’autonoma decisione di alcune strutture di riduzione del numero di interventi settimanali (in 4 Regioni), di sospensione delle procedure di interruzione volontaria di gravidanza farmacologica (4 Regioni) e di quella chirurgica (2 Regioni)”. Rispetto alla clandestinità abortiva, le stime del Ministero, perché di stime si tratta, parlano di un numero compreso tra i 10mila e i 13mila e di un fenomeno stabile nel tempo. Nella regione Abruzzo ed in particolare nella ASL Avezzano-Sulmona-L’Aquila si registra un numero bassissimo di medici (2) non obiettori ed un collocamento di questi in presidi di 2 livello con una evidente discriminazione sociale per la popolazione femminile dell’entroterra abruzzese per un servizio che ricordiamo deve essere garantito per legge. Per questi motivi è necessario

– favorire l’assunzione di nuovi medici non obiettori;

– incentivare la Regione in funzione di efficienza del servizio di IVG;

– favorire un discorso telematico per fornire informazioni complete alle donne sull’aborto;

– incentivare aggiornamento del personale sanitario di informazione su sessualità nelle scuole ed una definizione di un reale accesso ad un servizio medico .

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