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SULMONA ( 1 gennaio 2060)- Caro nipotino mio, fu un anno impegnativo per tutti quel 2020. Per tutti straziante, difficile, da dimenticare. Per me sicuramente un anno in prima linea. A forza di parlare di Covid, contagi, isolamento, anche io entrai in quell’elenco nero dei positivi. Fortunatamente lo posso raccontare ancora oggi perchè tutto filò liscio. Ormai sono passati quarant’anni. Ma ti racconto dall’inizio. Ricordo ancora la data del primo caso Covid accertato a Sulmona. Il 7 marzo. Era un sabato sera ed ero a cena a casa di Paola. La pizza a domicilio era appena arrivata. Una margherita con i funghi. Avevo appena sgranocchiato il primo pezzo quando arrivò la telefonata. Allora mi alzai dalla sedia e l’atmosfera si fece pesante. Cominciai a messaggiare e a fare una serie di telefonate. All’epoca c’era whatsapp. Sai, io sono stato sempre abituato a verificare le notizie. E quella non era una notizia come le altre. Tremo ancora oggi. Una volta ottenuto i riscontri la pubblicai. Non si parlò d’altro quella sera e il sito internet della nostra televisione andò in tilt. Il giorno dopo, di domenica, condussi l’edizione straordinaria con il sindaco, Annamaria Casini. Sicuramente ne avrai sentito parlare. Ma gli aneddoti di quell’anno terribile furono davvero tanti. Non posso dimenticare la sera del 26 marzo quando arrivarono i Carabinieri all’ospedale dell’Annunziata perché stava entrando il primo paziente Covid. Ricordo la pioggia, la fretta, le dirette, la concitazione. Quell’anno la Madonna corse dentro la Chiesa a Pasqua. Non scorderò mai l’emozione di commentare quelle immagini da consegnare agli annali. Ricordo gli abbracci proibiti, le videochiamate per restare connessi con gli amici, la paura di uscire, la solidarietà di tanta gente che tirò fuori il meglio di se. Non si dormiva. Si stava sempre in allerta. C’era Marinella che veniva il giorno, Pasquina che mi portava da una parte all’altra della città, Filippo che ti dava energia, Franco che ti pensava, Francesco che voleva sapere l’ultima, Chiara e Paola che mi davano forza, Mariadora e Senada che mi ascoltavano, Marco e Lorenzo in regia, Gaetano che raccomandava prudenza, Carlo con il suo aforisma, Thor che mi accompagnava nelle dirette, la collega sempre pronta per darmi i giusti consigli, la dottoressa sempre a disposizione, Luca che lo sentivo tutte le sere. Mentre mia madre e mio padre, oggi entrambi centenari, non mi facevano mai mancare il pasto caldo. A tutte le ore. Poi arrivò l’estate e tutti dimenticammo per un attimo la pandemia. L’economia doveva ripartire e gli operatori restarono in ginocchio senza un minimo di aiuto concreto. Arrivarono annunci, multe e rassicurazioni. Ma non i ristori veri e propri. A metà estate riprese il contagio. Ferragosto lo passai tra una diretta e l’altra come pure tutte le vacanze di quell’agosto. Gli ospedali cominciarono a riempirsi. C’è chi trovò un posto libero solo a Foligno. Mancarono per un momento aree attrezzate e percorsi specifici. Tante, troppe persone persero la vita. Ricordo l’anziano che morì dopo l’attesa in ambulanza, l’imprenditore marito dell’amica, i coniugi, zio e nipote. Ma prima ancora il sindacalista e tanti altri. A una certa età la memoria comincia ad accusare i primi colpi. Anche io presi il virus. Era una domenica. Il 15 novembre. Tutti quanti mi dicevano: “ti stai facendo suggestionare a forza di parlare di Covid”. Ma quel bruciore a un punto della gola non mi lasciava tranquillo. Menomale che feci il tampone e scoprii il contagio. Passai quei 24 lunghi giorni nella mia camera ancora con dirette, telegiornali e aggiornamenti da remoto. Cioè nella versione virtuale. Poi uscii dopo il tampone negativo e mi sembrava di sognare quando incrociai di nuovo lo sguardo della gente. Il Natale di quell’anno? Che te lo dico a fare. Non si poteva uscire se non per motivi di necessità. Anche se poi, si sa, in tanti festeggiarono lo stesso in spregio alle regole. La vigilia di Natale e la notte di Capodanno andai in diretta anche fuori orario per tenere compagnia ai telespettatori. Un anno strano che si chiuse con l’arrivo dei vaccini. Una luce in fondo al tunnel della pandemia. Ancora oggi mi chiedo se qualcuno ricorderà i miei e i nostri sforzi, i sacrifici di quanti hanno dato il loro personalissimo contributo per migliorare il sistema. Il Lions ci premiò ma ogni santo giorno oltre ad entrare nelle case della gente, cercavo sempre di entrare nei cuori. Lì volevo rimanere per spargere il profumo del mio lavoro e camminare dritto per le strade della città, senza dover svoltare per i vicoli. Iniziammo il nuovo anno dopo la mezzanotte anomala e il “meglio” di quel 2020. Per modo di dire. Incominciammo quindi a stento il percorso per tornare alla normalità, a quella vita di sempre, fatta di abbracci e incontri. Come andò a finire? Te lo dico domani.

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