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SULMONA – Un anno e otto mesi di reclusione più il pagamento delle spese processuali e il risarcimento da liquidare in sede civile. E’ questa la pena inflitta dai giudici della Corte di Cassazione ad un 32 enne di Sulmona, P.P, finito alla sbarra per aver preso a bottigliate un suo coetaneo, reo di aver posto in essere un furto nell’abitazione dell’imputato. A distanza di sei anni si è chiusa la vicenda giudiziaria con la condanna definitiva che ora sarà verosimilmente comulata prima dell’esecuzione. Il giovane, che era finito ai domiciliari a marzo 2017 a seguito di un’operazione anti movida condotta dalla Squadra Anticrimine del Commissariato Ps di Sulmona, coordinata all’epoca dal Sostituto Commissario, Daniele L’Erario, aveva aggredito un giovane di Pratola Peligna in via Carrese a Sulmona, nello spazio che intercorre tra due locali, scagliandoli una bottiglia piena di birra sullo zigomo sinistro per poi prenderlo a calci e pugni. Per il giovane pratolano si rese necessario l’immediato trasferimento al reparto maxillo-facciale dell’ospedale San Salvatore dell’Aquila dove fu preso in carico con un occhio fuori dall’orbita e con il cranio completamente fracassato. La vittima, assistita dall’avvocato, Edoardo Colaiacovo, rischiò di perdere la vista proprio a causa dell’aggressione. I medici del nosocomio aquilano diagnosticarono traumi facciali, frattura dell’orbito, traumi al nervo ottico e della macula, giudicati guaribili con una prognosi non inferiore a 50 giorni più un indebolimento permanente della vista con una riduzione a 2 decimi della capacità visiva. Il 32 enne, difeso dall’avvocato, Alessandro Scelli, si era giustificato sin dall’inizio spiegando di aver agito per legittima difesa, in seguito cioè ad un’aggressione subita. Circostanza questa che non era emersa dall’escussione dei testi. In primo grado l’imputato fu condannato alla pena di un anno e tre mesi di reclusione poichè il giudice, Francesca Pinacchio, equiparò le aggravanti del reato con le attenuanti generiche riconosciute al giovane sulmonese. La sentenza è stata impugnata dalla Procura che ottenne la riforma in appello. Tre anni anzichè 15 mesi. Alle fine i giudici capitolini hanno scritto la parola fine: un anno e otto mesi di pena. Definitiva.

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