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SULMONA – Fu etichettata con un epiteto dall’ex sindaco, Bruno Di Masci,  in un video che mostrò in aula consiliare per denunciare pubblicamente l’episodio, dando al suo collega di opposizione del “padre padrone”. Ma il procedimento penale a carico di Roberta Salvati è stato archiviato dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Sulmona, Marta Sarnelli, che ha rigettato l’opposizione alla richiesta di archiviazione e ha scritto la parole fine almeno su quella inchiesta. Il Consiglio Comunale finito sui tavoli della giustizia è quello del 12 settembre 2018 quando la Salvati rese pubblico  quel video che immortalava Di Masci mentre  la offendeva. Da lì la bagarre che fece esplodere la polemica fino alla coda giudiziaria con due filoni di inchiesta.  Il primo, a carico della consigliera, è stato archiviato con ordinanza dal  giudice Sarnelli che ha riconosciuto a Salvati l’esimente della provocazione, che sarebbe venuta nei suoi riguardi dallo stesso Di Masci. “La condotta dell’indagata è chiaramente una reazione a uno stato d’ira  determinato da un fatto ingiusto altrui e subito dopo di esso”- si legge nell’ordinanza del Gip.  Resta in piedi l’altro procedimento che vede indagato Di Masci che si è difeso al riguardo spiegando che di aver preferito quelle parole in un contesto privato e solo a sfondo politico. Un elemento dirimente sul prosieguo dell’inchiesta si può estrapolare dall’ordinanza di archiviazione della Sarnelli. “Del resto”- scrive ancora il giudice- “occorre sottolineare che l’espressione utilizzata da Di Masci non può in alcun modo essere interpretata come una critica all’operato politico dell’indagata e, in ogni caso, supera il necessario contegno linguistico tipico del diritto di critica”. Si disputerà quindi il secondo tempo di una partita che, specie in questo momento storico, sembra non appassionare nemmeno più gli addetti ai lavori. Figuriamoci l’uomo di strada. L’ordinanza di archiviazione assume però un carattere importante per la Salvati. “E’ una sentenza che mi dà ragione”- commenta la consigliera-  “le mie parole tendevano a censurare il comportamento politico dell’avversario che mi aveva appunto provocata con la denigrazione e l’offesa”.

Andrea D’Aurelio

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